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Quando si seminava seguendo le fasi lunari

È dagli anni Cinquanta, subito dopo la guerra, che Nicola D’Adamo fa l’ortolano: “Non c’erano fabbriche e quello era il mestiere anche di mio padre” afferma. E continua: “Avendomi dato il pane per tutta una vita ho grande passione per questo lavoro, anche se è molto faticoso e impegnativo”. La terra, infatti, richiede cura costante: “Tutti i giorni prendo la lambretta e vado in campagna con mia moglie ad annaffiare le piantine o a svolgere gli altri lavori indispensabili”, spiega il signor D’Adamo il quale, nonostante gli acciacchi dell’età, continua, aiutato dalla moglie, ad occuparsi personalmente del suo orto, che si trova proprio a Casarza, in una zona vastese da sempre adibita a quest’attività. Stando a due passi dal mare, il clima è mite e favorevole alla maturazione di qualsiasi ortaggio. In questo appezzamento di terreno soleggiato, da quando era giovane, il signor D’Adamo ha sempre coltivato un po’ di tutto. Nonostante prima il lavoro fosse più duro perché non c’erano i mezzi meccanici (e meno male che sono stati inventati), l’aria non era avvelenata come oggi, le piante non si ammalavano spesso e non bisognava fare trattamenti; “cianpanelle” e “scardapuzze” proprio non c’erano!

Anche prima − continua l’ortolano − a volte la piantina “s’arracave” [non riusciva, cioè a crescere], in questo caso si cercava di salvarla rimettendo un’altra dose di fertilizzante naturale: la cenere, benefica soprattutto per i fichi o “lu fumìre” (letame) che di solito si faceva con gli escrementi degli animali che si allevavano in famiglia, anche se il migliore era quello dei cavalli, o gli scarti vegetali, che si compravano alla “spazzatura della città”. Probabilmente solo qualcuno dei lettori ricorderà che la spazzatura della città era una specie di deposito dei rifiuti organici e che a Vasto si trovava a Sant’Antonio Abate. La concimazione del terreno avveniva mettendo i rifiuti dentro “lu bahànze”, un grosso recipiente con la capienza di un mezzo quintale, il quale, grazie ad una “cordella” che ne apriva o ne chiudeva il fondo, permetteva di distribuire secondo le intenzioni dell’ortolano la quantità di scarti nel suolo. A parte casi in cui si doveva tentare di salvare la piantina, questi fertilizzanti naturali, durante la crescita degli ortaggi, si distribuivano sempre sul terreno per garantire loro maggiore nutrimento. C’erano altre procedure tipiche dell’orticoltura che oggi non si fanno quasi più, come la semina; si tende infatti a comprare dai rivenditori agricoli le piantine già nate nei blister di polistirolo con le prime radici sviluppate. Quali erano, invece, le tecniche di una volta?

La semina va in base alla luna; alla mancanza si mettono piante che devono svilupparsi molto come cavolfiori, insalata e finocchi, mentre alla crescenza quelle che devono spicare, come broccoletti e cicorie; il sabato invece è sempre adatto per la semina perché “ha rubbate nu jùrne alla crescenze”, spiega il signor D’Adamo, continuando a raccontare gli altri metodi che ha usato per tutta una vita: “Prima di ogni semina si “rivôddave” il terreno con “lu bbidènde” per renderlo più friabile; era un lavoro molto pesante e ci volevano molti giorni, per questo chiamavamo quattro − cinque operai di rinforzo, ad ognuno dei quali era affidato un pezzo di terreno d’arare. Dopo la semina, che non era detto che andava sempre bene, quando ancora la piantina era piccoletta si “arannave”, si toglievano le erbacce intorno e si smuoveva appena appena il terreno con “lu zuapponette”, la zappetta. Poi, bisognava annaffiare quanto era necessario per la qualità della piantina”.

Andavo io a vendere al mercato gli ortaggi che raccoglievo, anche se di solito,questo lavoro si faceva fare al più anziano della famiglia; non essendoci più mio padre, avevo anche questo compito e ogni mattina dovevo stendere il mio banco al mercato di piazza Barbacani”, precisa Nicola D’Adamo e ricorda: “Nella piazza noi ortolani facevamo un gran baccano, si parlava delle qualità di piante che erano andate male e ci si raccontavano i fattarelli: eravamo un centinaio e ognuno di noi metteva il suo lenzuolo a terra per vendere la verdura che portavamo lì, dentro lunghi cestini di vimini legati all’asinello. Poi, soprattutto per motivi igienici, è stato aperto il mercato coperto di Santa Chiara”.

A dimostrazione di quanto fosse diffuso questo mestiere a Vasto, quando il mercato fu inaugurato nel 1958, esisteva anche un’ Associazione degli Ortolani [fondata nel 1914], la quale aveva un peso politico enorme. Essa, in quell’occasione svolse un sorteggio per le assegnazioni delle postazioni in ferro della struttura. Bisogna poi, ricordare che Vasto non solo riusciva a soddisfare la richiesta di ortaggi della città, ma, come racconta il signor D’Adamo, tramite il magazzino cittadino, spediva ortaggi, soprattutto pomodori, anche all’estero, per esempio in Germania. Oggi a Vasto sono rimasti pochi ortolani che si dedicano esclusivamente a questo mestiere, come spiega il signor D’Adamo, “non si riesce più a campare con il ricavato che ti dà la terra; c’è troppa concorrenza, anche da parte dell’estero, bisogna pagare troppe tasse per prendere qualche operaio che ti aiuta”. L’antica saggezza e i segreti del mestiere che persone anziane, come il signor D’Adamo sanno, però, non devono essere perse. Altri, come le pur poche nuove leve in questo settore, devono farsi carico di preservare questo patrimonio. La speranza concreta che questo avvenga esiste ed è affidata a persone che si rendano conto del valore dello scambio generazionale. Nel caso concreto, persone come l’agronomo vicino di casa del signor D’Adamo, il quale non perde occasione per farsi svelare i segreti della coltivazione delle piante, preservando in questo modo queste tecniche dalla dimenticanza.

Nausica Strever

VASTO E GLI ORTOLANI. IERI E OGGI

Ne gli anni ‘60 – ‘70 l’attività ortolana era una delle più diffuse a Vasto, come si evince dai seguenti dati statistici: Aziende familiari rilevate: 171 – Occupati nell’attività (ortolani, familiari, braccianti) : 624.
I soprannomi più diffusi fra gli ortolani: Cillacchie, Stobbene, Pape, Mingiguerre, l’Artisciàne, Tatuzzàtte, lu Prucidàne.
Oggi le famiglie ortolane che hanno continuato il mestiere sono circa una ventina. Si riportano per zona quelle ancora attive: Fonte Joanna: Cericola Giulio e Cesare, Spadaccino Carlo, Guidone Francesco; Marina: Tana Michele (c.da San Tommaso), Celenza Vincenzo (Buonanotte e Montevecchio); Fonte Nuova: D’Adamo Pietro, D’Adamo Giuseppe, La Verghetta Cesare (Diritta); SS86 Istonia: D’Adamo Giulio, nipote Angelo; Spadaccini Paolo; Casarza / Angrella: Ialacci Michele, D’Adamo Michele, D’Adamo Nicola, La Verghetta Francesco; S. Lucia / S. Nicola / Canale: D’Adamo Sebastiano, D’Adamo F.Saverio,Di Pietropaolo Antonio,Scampoli Michele, Vinciguerra Michele; Due Valloni: La Verghetta Antonio; Incoronata: Tana Vincenzo.

[Fonte dati: “Gli ortolani di Vasto, tra storia e antropologia” di Nicolangelo D’Adamo – Nicola D’Adamo]

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