Un viaggio nell’egoismo e nella percezione distorta che ognuno ha di sé, una liberazione dai dolori più profondi: così Andrea Appino, cantaurocker della band indie-rock degli Zen-Circus, definisce Il Testamento, il suo primo album da solista, che racconta alcuni degli aspetti più scomodi della realtà familiare e cittadina, ma anche del rapporto con il proprio io. L’album è una “bella scossa” di rock, che varia da tonalità quasi beat degli anni Settanta a quelle punk e metal e, al contempo, in alcune tracce più improntate a sonorità melodiche, raggiunge punte altissime di espressione che iscrivono Appino a pieno diritto nella rosa dei giovani cantautori più promettenti. Vero e proprio esempio di alta scrittura è la title-track che è ispirata alla vicenda di Mario Monicelli e presenta l’altra tematica fondamentale dell’album, vale a dire la libertà e il coraggio di compiere scelte autonome nella vita, perfino quella di morire: “Ho scelto tutto quello che volevo fare / e ho pagato ben contento di pagare / perché la scelta in fondo è l’unica cosa / che rende almeno questa vita dignitosa. / E quindi scelgo di saltar dal cornicione / come un gabbiano, un falco, un piccolo aquilone / come un aereo, una falena, un pipistrello / che vola alto invece io ora mi sfracello”.
Il brano, che apre l’album splendidamente, è molto suggestivo per la musica, con l’iniziale e catartico assolo di violino, seguito dall’esplosione della batteria e della chitarra elettrica. Anche la traccia Solo gli stronzi muoiono, sembra alludere a Monicelli, dal momento che è una precisa citazione di questa frase che amava ripetere. Il testo è intessuto di ricordi dell’infanzia “insoliti” perché non rispondono certo al luogo comune di quest’età della vita come la più felice e innocente, ma urlano il disagio di un bambino che ha come unico amico una bici ed è piazzato davanti alla televisione ad assorbire tutta la violenza proveniente dallo schermo. Nel brano, che è fortemente autobiografico ed è esaltato da rock pesante, Appino racconta anche della sua paura infantile del buio e di come riuscì a superarla iniziando a parlare con questa sua angoscia, imparando che l’unico modo per sconfiggere i propri mostri è allearsi con essi. Nell’album un esempio di quest’incapacità e di “essere bambini cresciuti da bambini” è I giorni della merla, ballata pop che ritrae situazioni familiari terribili dove regna la violenza di un padre che lavora otto ore al giorno, ma a cui “nessuno ha insegnato che una moglie anche si ama / così l’ha violentata per trent’anni almeno” e di un figlio che, a sua volta padre prematuramente, non riesce a gestire una famiglia perché “nessuno gli ha insegnato / a raccontare cosa ha dentro / e lui ha nascosto tutti i mostri sotto al letto”. La ballata, sconvolge con un finale crudo e inquietante: “bambina mia adorata, gioiello di famiglia / sorella di una fata, bambina meraviglia / in questi giorni della merla / dormi sempre più beata / sotto il tuo manto di neve / nella valle incantata. / Bambina mia adorata, gioiello di famiglia / sorella di una fata, bambina meraviglia / in questi giorni della merla / dormi sempre più beata / accanto alla tua mamma per sempre a te devota”.
Sconcertante è anche la traccia Che il lupo cattivo vegli su di te, definita da Appino una ninna nanna al contrario e che ancora una volta porta in superficie la tematica della famiglia unita a quella sociale, come è evidente dall’estratto: “dormi bel bambino che l’ora è tarda già / nascondi in fondo al cuore la tua diversità / che il lupo cattivo vegli su di te / insieme a tutti gli animali che son tali e quali a te / nella periferia- si svegliano i plebei / che un tempo erano forti e curiosi come noi / invece adesso son figli soltanto della pubblicità”. Il testo è uno dei più brevi dell’album, ma nella sua istantaneità è estremamente efficace e ben sostenuto da un rock carico di elettricità. Appino dà ancora una volta prova delle sue grandi capacità di scrittura in Fuoco!, 1983 e ne La festa della liberazione. Con quest’ultima traccia, che è liberamente ispirata a Desolation Row di Bob Dylan, dalla quale lo stesso Fabrizio Dè Andrè ha composto Via della povertà, il cantaurocker s’inserisce allusivamente nella grande tradizione italiana. Il brano è realizzato in versione acustica, con armonica a bocca, ed è stato eseguito da Appino per la prima volta il 4 marzo 2013 nella cave di marmo di Carrara, per omaggiare Lucio Dalla nel giorno del suo settantesimo compleanno. Nel testo, non si risparmia nessuno, né la mediocrità, né lo desolazione del paesino “di grandi repressi / pochi e squallidi amplessi”, con i ragazzini che “hanno già perso la verginità, l’imene rotto della meraviglia” , né <<i tarli>> regalati dalla famiglia, né la scuola e l’università che hanno insegnato soltanto a imparare, né la propria persona che perdona troppo facilmente i propri sbagli, quelli degli altri solo se è conveniente. Certo in questo album Appino non perdona niente a se stesso, come si evince dai due brani Lo Specchio dell’anima (musica elettronica) e Schizofrenia (punk hard core), che raccontano la lotta con se stessi e la difficoltà di mettersi a nudo: “imputare tutto sempre e solo agli altri / che non riescono quasi mai ad appagarti / il dito medio che facevi giratelo contro / che la differenza è tutta dentro a quello specchio / fra la paranoia e la realtà”. Il testamento, realizzato in collaborazione con Giulio Favero e Franz Valente de Il teatro degli orrori, Rodrigo D’Erasmo, violinista degli Afterhours, Marina Rei e i Gatti Mézzi, è un progetto musicale molto riuscito, un album vero e crudo, coinvolgente e nuovo.
Nausica Strever
Il testamento di Andrea Appino
Il testamento
Che il lupo cattivo vegli su di te
Passaporto
Specchio dell’anima
Fuoco!
La festa della liberazione
Questione d’orario
Fiume padre
Solo gli stronzi muoiono
I giorni della merla
Tre ponti
Godi (adesso che puoi)
Schizofrenia
1983