Ha ragione il Presidente Napolitano: «Certe campagne, che si vorrebbero moralizzatrici, in realtà si rivelano nel loro fanatismo negatrici e distruttive della politica». Abbattere, sapete, è molto più semplice e facile che erigere. La distruzione sta alla costruzione come Grillo sta a Napolitano. Due mondi diversi, opposti. Per distruggere può bastare anche il verbo, il turpiloquio, cavalcando trionfalmente l’esasperazione degli animi. Per costruire, invece, occorre misurarsi con le prove quotidiane di mediazione, con la ricerca di larghe intese e larghi consensi, con la soluzione di problemi spesso irrisolvibili. Una fatica di Sisifo. Eppure, politica è costruire, non distruggere. Politica è mettere insieme, non dividere. Politica è gestire i conflitti, orientare i processi, arginare le spinte demagogiche, che tristemente solleticano la pancia del cittadino più sofferente; politica è ricercare il senso comune di un cammino e di un approdo, tenendo sempre in debita considerazione la Casa, l’Istituzione, il Teatro che ospita la recita e garantisce, a tutti gli attori, la tenuta della rappresentazione. Lo Stato non è un incidente di percorso e sul suo Capo, eletto dal Parlamento, non possono essere scaricati i fulmini delle contrapposizioni, spesso sterili, tra le parti. Ciò che differenzia chi ha cultura di governo da chi ha cultura di opposizione, di contrasto e talvolta di sfascio, è la consapevolezza che il Paese, qualunque Paese, ha la necessità di una guida sicura, ferma, credibile; che le scorribande sono consentite fino al limite ultimo di non intaccare le mura della Casa, poiché il crollo della stessa non garantirebbe più l’esercizio della pratica politica. In tanti, oggi, si chiedono se si possa diventare attori, protagonisti della politica, senza aver maturato alcuna esperienza, come se un giovane architetto di primo pelo potesse essere chiamato ad aprire un cuore per sistemare qualche valvola. Il personale politico degli ultimi vent’anni, per gran parte accolto con le fanfare del rinnovamento, dopo il crollo della Prima Repubblica, ha dato pessima prova di sé. Un personale scadente, inconsistente, inetto, fatto soprattutto di avvocati, grassi di diritto e di parcelle, ma a digiuno di politica. Di cultura di governo. Molti sono stati condotti nelle sacre Camere senza aver mai fatto la “gavetta” neppure in un Consiglio Comunale. Non la politica come professione, ma la politica come dilettantismo. Nominati. Numeri. Pronti a dire sì o no, a schiacciare il bottone, senza sentirsi parte di un tutto, senza avvertire la grande responsabilità di una presenza in grado di cambiare, in bene o in male, il destino di un Paese. Ma essere all’interno di un’Istituzione politica non è come frequentare un Tribunale. Fuori, ad attendere risposte, ci sono cittadini e non clienti. I clienti chiedono giustizia, anche agli Azzeccagarbugli, e pagano per averla; i cittadini chiedono di essere governati e non dagli Azzeccagarbugli. Se si stancano di chiederlo, si aprono prospettive alquanto buie, che i nostri padri hanno vissuto e che noi non vorremmo rivivere.
Davide D’Alessandro