C’è una netta differenza tra la “paesologia” di Franco Arminio e quella che lo stesso scrittore di Bisaccia definisce “paesanologia”, ovvero quella tendenza al rimpianto e all’autocommiserazione propria di un certo stile della serie “com’eravamo” tipica di certi “storici paesani”, nostalgici e con lo sguardo rivolto al passato.
Durante l’incontro presso la Pinacoteca di Palazzo d’Avalos, il professor Gianni Oliva e lo scrittore Franco Arminio hanno ripercorso insieme le caratteristiche salienti di questo originale approccio narrativo che contraddistingue lo scrittore campano, autore di “Diario civile” (1999), “Viaggio nel cratere” (2003) e “Circo dell’ipocondria”. Nel 2009 Arminio ha vinto il Premio Napoli con “Vento forte tra Lacedonia e Candela”, attirandosi le simpatie e l’apprezzamento di Roberto Saviano.
Come spiegato dal professor Oliva, nella “visione” di Franco Arminio, l’economia del circolo vizioso di produzione e consumo portata ai livelli esasperati dell’epoca contemporanea si scontra con la poesia. “Lo sguardo di Franco Arminio – ha spiegato il professor Oliva – ci mostra le contraddizioni di una civiltà deragliata.”
Per quanto riguarda la “paesologia”, è un sorta di “induzione”: “Attraverso le malattie dei paesi, come una goccia di sangue attraverso un vetrino, studio le malattie del mondo”, ha spiegato Arminio.
Così attraverso lo spopolamento di interi territori interni e la “malattia” di paesi abbandonati per “un posto al sole” della costa o della grande città, Arminio diagnostica quella debolezza culturale della popolazione, alimentata dalla classe dirigente, per cui il benessere si trovava lontano dalle campagne e dalle montagne.
“Questo processo si sta fermando – ha dichiarato Arminio – perché ormai abbiamo toccato il fondo e non possiamo che risalire; pian piano si sta riaffermando quello che mi piace definire ‘l’umanesimo della montagna’. Nel medio e lungo periodo sono sicuro che riusciremo a rivendicare al bellezza e l’unicità dei nostri territori, ma la politica non deve più essere miope e deve incentivare i residenti a rimanere nella propria terra, ad aumentare i residenti delle zone interne e montane, invece di incentivare l’emigrazione, come accaduto dagli inizi degli anni ’50, per cui adesso ne paghiamo le conseguenze: l’Italia è una terra di montagne, ma le abbiamo abbandonate; qualcosa sta già cambiando e credo che ormai la tendenza si sia invertita, anche se ci vorrà del tempo per apprezzarne i risultati.”
n.l.