Chi non ricorda le immagini della carcassa di delfino rinvenuta sul litorale di San Salvo il 3 ottobre scorso. Sul posto intervennero la Capitaneria di Porto di Punta Penna e i tecnici del Servizio veterinario della Asl teatina per provvedere alla rimozione.
Il tursiope (il delfino più studiato e più utilizzato nei delfinari) era probabilmente morto da qualche giorno ma ci si chiede che cosa potesse averlo allontanato dal gruppo cui evidentemente apparteneva. La risposta potrebbe venire da quanto sta accadendo sul fronte opposto dell’Adriatico, ovvero nelle acque della vicina Croazia dove dal 7 settembre scorso sono partite campagne di ricerca di petrolio e gas al largo e sottocosta.
La denuncia viene dal Blue World Institute, un istituto di ricerca croato specializzato nello studio di cetacei, tartarughe marine e biologia marina in generale che ha sollevato la questione dell’uso che si sta facendo nel mare croato della tecnica dell’air guns, ovvero cannonate sonore da 280 decibel che rimbalzano sul fondale e vengono raccolte da dei sensori che in base all’eco rivelano se ci sono giacimenti. Purtroppo i cetacei hanno sviluppato un udito ipersensibile e questi bombardamento sono in grado di disturbarli, spaventarli, disorientarli e persino ucciderli.
Una campagna di ricerca di cui nessuno è venuto a conoscenza e che non ha seguito alcuna procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, procedura necessaria, ad esempio, in Italia.
Contemporaneamente a queste attività di prospezione sono stati registrati in breve tempo ben 7 spiaggiamenti di tursiopi in nord Adriatico (1 a Jesolo, 1 a Porto Garibaldi, 1 in Abruzzo, 3 nel ravennate e 1 a Rovigno).
Certo è sempre difficile dimostrare una correlazione diretta tra i due eventi ma la loro contemporaneità non può non sollevare più di un sospetto alla luce anche dei dati scientifici accumulati negli anni.
Lu. Spa.