Nell’Italia della crisi che sembra non conoscere fine non ci sono le delocalizzazioni all’estero; quella che infatti denuncia il segretario provinciale della Uilm di Chieti, Nicola Manzi, è una delocalizzazione tutta particolare, perché “interna”, perciò difficilmente giustificabile con l’affannosa ricerca di regimi fiscali più favorevoli o costo del lavoro più competitivo. Come denunciato dalla Uilm, infatti, “l’Acs ha definitivamente spostato il lavoro destinato alla Sevel da Atessa a Cassino, concludendo così il progetto scellerato di lasciare senza lavoro 23 famiglie”.
Cosa ci possa essere di conveniente per un’azienda nello spostarsi in posto più lontano rispetto al proprio committente risulta difficile da spiegare, ma per il segretario Nicola Manzi, la gravità della situazione è determinata anche dalle modalità attraverso cui si è giunti a questa nefasta conclusione per il già problematico stato dell’occupazione del territorio: “È vergognoso – ha rimarcato Manzi attraverso una dura nota diramata nella giornata di ieri – il modo subdolo in cui l’Acs ha pianificato e chiuso lo stabilimento, sfruttando il lavoro svolto per la Isringhausen, fornitrice di Sevel; invece di investire in Val di Sangro ha utilizzato i guadagni per fare investimenti a Cassino e realizzare per la prima volta sul nostro territorio il furto del lavoro e dell’occupazione”.
Come ricordato dallo stesso segretario provinciale, “l’Acs il 23 luglio scorso aveva formalizzato la chiusura e dal 2 settembre lasciava tutti i dipendenti a casa, senza lavoro, garantendo loro la retribuzione in attesa del licenziamento, avendo già trasferito gli stampi e la produzione a Cassino. Oggi sono tutti al capezzale dell’Acs con un ritrovato e tardivo interesse anche della politica, ma la verità è un’altra. La brutta storia della vertenza ACS parte dal lontano 2010 quando veniva concessa la cassa integrazione straordinaria per un anno a fronte dell’impegno assunto dalla direzione aziendale presso la Provincia di Chieti di garantire l’occupazione e il rilancio dello stabilimento. Nel 2011, mentre la Sevel aumentava il lavoro per l’indotto realizzando una produzione di circa 215mila veicoli, l’Acs, incurante degli impegni presi e contro ogni logica industriale comunicò la chiusura dello stabilimento”.
A questo punto della ricostruzione, il segretario della Uilm fa entrare in scena gli altri sindacati e punta il dito contra la Fiom Cgil: “Contro questa grave e insensata decisione il 27 giugno del 2011 la Uilm di Chieti dichiarò immediatamente uno sciopero generale di 8 ore su tutta la provincia, chiamando a raccolta i metalmeccanici, ma mentre noi scioperavamo per non far portare via il lavoro e inchiodare l’Acs alle proprie responsabilità, la direzione aziendale si accordava con la sola Fiom Cgil per 2 anni di ‘Contratti di Solidarietà difensivi’. Tutto questo è avvenuto nonostante gli appelli e la protesta della Uilm di Chieti e di tutti i sindaci del territorio al tempo capeggiati dal sindaco di Atessa Nicola Cicchitti. Per due anni – è l’amara conclusione di Nicola Manzi – l’Acs e chi ha condiviso quel progetto scellerato hanno illuso i lavoratori: mentre utilizzavano gli ammortizzatori sociali, l’azienda continuava indisturbata a delocalizzare il lavoro e l’occupazione da Val di Sangro a Cassino”.