È un’analisi impietosa e in linea con quanto già contemplato in altri settori dell’economia, soprattutto artigianato, l’analisi sugli andamenti delle attività commerciali esposta dalla Confcommercio. Calano le vendite dei cosiddetti beni voluttuari come l’abbigliamento e la gioielleria, che segnano un pesante valore negativo. Regge il comparto alimentare, seppure in perdita in termini di spesa in valore assoluto e guadagna in termini di percentuale sul volume totale dei consumi. Tengono in particolare i consumi al bar tradizionale, quelli legati alla colazione, e quelli per la ristorazione di fascia medio-bassa (dai 15 ai 25 euro), segno che malgrado la crisi si tende a non rinunciare ai momenti di socialità che non comportano spese eccessive.
Confcommercio punta il dito contro la progressiva perdita di poter di acquisto da parte delle famiglie. Basti pensare al dato relativo alla propensione al consumo delle famiglie che è passata da una media dell’80% del reddito disponibile registrata fino al 2007 a valori ben oltre il 90% negli ultimi anni; ciò vuol dire che le famiglie non risparmiano più e che il calo dei consumi è dovuto ad una drammatica riduzione dei redditi e non ad un atteggiamento rinunciatario da parte delle famiglie stesse.
Il sodalizio degli esercenti, però, sottolinea anche un dato in leggera controtendenza, ovvero la riscoperta dei negozi di vicinato, soprattutto per quel che riguarda frutta e verdura e salumi e latticini; “una riscoperta, quella della piccola bottega sotto casa che si conferma da alcuni anni perché il cittadino-consumatore apprezza nuovamente il servizio e la qualità di un offerta mirata rispetto al disorientamento di offerte, spesso solo quantitative, della grande distribuzione”.
Nel suo intervento la Confcommercio detta anche la ricetta per trovare una soluzione adeguata a risollevare tutto il settore “In tale contesto un rilancio dei consumi può venire solo da una riduzione della pressione fiscale che dia nuovo ossigeno alle famiglie, liberando risorse per gli acquisti, ed alle imprese. razionalizzare la spesa a livello centrale, attraverso la soppressione degli enti inutili, la dismissione di parte del patrimonio pubblico e una lotta mirata ai grandi evasori, mentre a livello locale occorre evitare interventi pubblici inutili e costosi per utilizzare le risorse così risparmiate per la riduzione dei tributi locali che gravano su aziende e famiglie”.