Alfonso Gileno, è uno degli ultimi “scapeciari” rimasti a Vasto. Ancora oggi a ottant’anni, produce e vende questa specialità locale, assieme a quelli che erano i componenti principali dell’alimentazione di una volta, legumi e uova. Ogni sabato allestisce il suo banco al mercato di Santa Chiara ed è una presenza immancabile anche alle feste di quartiere cittadine e dei dintorni, riesce addirittura a fare tappa in due posti differenti nello stesso giorno! Sono sessant’anni che pratica il mestiere di commerciante e non è ancora stanco di proporre questo prodotto genuino. “Il procedimento per preparare la scapece è lungo: bisogna impanare e friggere il pesce, poi farlo raffreddare; il giorno seguente metterlo a bollire con aceto e zafferano e disporlo a strati nel contenitore dove deve essere lasciato marinare con il liquido di cottura per alcuni giorni” spiega e aggiunge: “Prima la scapece si conservava nel bahànze, la bigoncia di legno, che era migliore perché non si scaldava al sole come quella d’acciaio che uso ora”. A conferma della sua corretta teoria della qualità superiore del bahànze rispetto al barilotto moderno afferma scherzando: “anche il vino più buono si conserva nelle botti di legno!”. A prescindere dai contenitori, la scapàce produzione propria di Gileno è davvero molto buona, lo si può dire per prova dopo averla assaggiata, cosa che il gentilissimo scapeciaro, da bravo commerciante di una volta, mi ha invitato a fare. Prima di assaggiare la sua specialità, mi ha indicato tutti gli ingredienti della sua scapece che, per assoluta trasparenza, sono ben visibili sul cartellino espositivo che specifica il prezzo del prodotto. Il signor Gileno segue fedelmente la ricetta tradizionale che prevede l’impiego di differenti specie di pesce, la razza e il merluzzo in primis, poi aggiunge anche il polipo. Non avendo potuto continuare a usare il bahànze non rinuncia ad avvalersi della bilancia tradizionale, che era appartenuta già a suo padre. Questo strumento funziona manualmente grazie ai pesi, che si pongono nel piatto affianco a quello dove è messo il prodotto, e misurano la quantità di merce richiesta.
Naturalmente l’equilibrio perfetto tra la merce e i pesi è dato dalla stessa altezza dei due piatti; il signor Gileno, però, fa sempre in modo che quello con l’acquisto del cliente scenda più in basso dell’altro, così da regalare qualcosa in più rispetto al peso prestabilito. La sua lunga esperienza di commerciante ha ricordi di dure fatiche: “Ho iniziato a 18 anni a fare questo mestiere e andavo a vendere il pesce fino a Montenero di Bisaccia, impiegando 5-6 giorni di cammino: caricavo la merce sul carretto trainato dal cavallo e partivo a piedi per lasciare spazio ai prodotti. Ero anche fortunato ad avere un mezzo di trasporto, c’erano altri che, in condizioni estreme, facevano trasportare il carretto ai propri figli” racconta e non si stenta a credergli, vista la durezza della vita di allora. Oggi sarebbe inaudito immaginare un commerciante ambulante che si reca a piedi di città in città. Eppure queste figure di venditori sono state talmente diffuse da meritare anche uno specifico appellativo, quello di viaticari. Il signor Alfonso Gileno, ha svolto per tanti anni anche questo mestiere, ormai scomparso, grazie al quale, qualche volta, anche le massaie di montagna potevano portare in tavola la scapece vastese.
Nausica Strever