Si è svolto ieri pomeriggio presso la Pinacoteca di Palazzo d’Avalos l’incontro-dibattito sul libro intitolato Perché il Sud è rimasto indietro del professor Emanuele Felice. Presenti lo stesso autore, il sindaco di Vasto Luciano Lapenna, Alessandro Cianci e Paola Pierucci dell’Università “G. d’Annunzio”, e Berardino Cesi, dell’Università di Tor Vergata. A moderare gli interventi, Christian Lalla.
Dopo il saluto del sindaco, è stato Alessandro Cianci ad introdurre il tema del libro, ben chiaro già dal titolo; il lavoro del professor Felice, infatti, analizzando la storia d’Italia, sia dal punto di vista economico che sociopolitico, mira a individuare le responsabilità di quella che lo stesso autore non esita a definire “l’arretratezza” del Sud.
Come spiegato da Cianci, di solito due approcci caratterizzano l’analisi in merito, uno di tipo “accusatorio”, legato a presunte “differenze genetiche” o carenze strutturali del “capitale umano”, e uno di tipo assolutorio, che tende ad imputare al Nord lo sfruttamento e quindi il disagio del Sud. La tesi di Felice, ha spiegato ieri Cianci, rigetta entrambi gli approcci, ma coglie spunti di riflessione utili da ognuno, arrivando a non contrapporre Nord e Sud, ma analizzando “da dentro” lo stesso Sud per evidenziare come le sue sorti siano state determinate da una classe dirigente che ha subito la sfida della modernità in termini passivi, piuttosto che accompagnarla attivamente; il tutto, per conservare lo “status quo”, rispetto a rendite economiche e di potere personali, a danno della maggioranza dei cittadini.
È stato poi lo stesso autore a precisare come l’approccio passivo della classe dirigente del Sud alla modernizzazione abbia condizionato settori come l’istruzione per coinvolgere reddito ed economia.
In questo percorso non proprio esaltante per il Sud, Felice individua anche quattro momenti importanti in cui la storia avrebbe potuto dare la sterzata decisiva verso la modernizzazione attiva; le quattro “occasioni perse” si riferiscono alle rivoluzioni del 1820-21, alla rivoluzione del 1848, allo “shock” dell’unità d’Italia e infine all’istituzione della Cassa del Mezzogiorno. Nessuna delle occasioni è però stata colta e così il sud non ha ancora ingranato la marcia giusta.
L’autore del libro non ha dubbi che il tutto sia da imputare alle classi dirigenti che fino ad oggi si sono succedute, ma chissà se qualcuno tra i tanti politici presenti ieri sera a Palazzo d’Avalos nel sentire le parole del professor Felice si sia per un attimo sentito parte del problema, piuttosto che la soluzione.
n.l.