Il secondo rapporto Agromafie e Caporalato, redatto dall’Osservatorio Placido Rizzotto per conto della Flai Cgil, rappresenta una fotografia analitica sui diversi fenomeni di sfruttamento lavorativo nel settore agricolo e più in generale uno studio sull’illegalità e sull’infiltrazione mafiosa nell’intera filiera agroalimentare.
IL RAPPORTO È COMPOSTO DA QUATTRO PARTI
Nella prima parte, c’è un approfondimento analitico sullo stato del settore, sui principali fenomeni d’illegalità, sulle inchieste condotte dalla Magistratura e sul tentativo della criminalità organizzata di condizionare pesantemente l’economia della filiera agroalimentare: dalla produzione agricola, alla gestione del mercato del lavoro, fino ai processi di trasformazione e commercializzazione, che vedono ad esempio i mercati ortofrutticoli – e la logistica connessa – al centro di un rinnovato interesse mafioso. Segue poi un approfondimento sul caso “Terra dei fuochi” in Campania e sulla necessità di potenziare filiere capaci di puntare su qualità e legalità, come leve per la valorizzazione del nostro Made in Italy agroalimentare, vero e proprio volano per la nostra economia in crisi.
La seconda parte prova a entrare più nello specifico con gli approfondimenti legati allo sfruttamento lavorativo in agricoltura attraverso il caporalato, alla gestione del mercato del lavoro agricolo e alla tutela individuale e collettiva dei lavoratori gravemente sfruttati. Seguono poi tre casi di studio: nord (Piemonte), centro (Lazio) e sud (Puglia). In questi approfondimenti sono censiti casi di grave sfruttamento lavorativo ma allo stesso tempo si presentano buone pratiche di intervento con l’obiettivo di andare oltre la singola denuncia e censire le migliori iniziative messe in campo per contrastare il caporalato e l’illegalità, ormai fenomeni diffuso su tutto il territorio nazionale, indistintamente da nord a sud. In questa parte del rapporto abbiamo anche chiesto ad alcuni degli stakeholder (Caritas italiana e Federazione delle Chiese Evangeliche) di portare un contributo d’analisi e di riflessione.
La terza parte è relativa alle mappe dello sfruttamento lavorativo e del caporalato in agricoltura. Rispetto al primo rapporto il nostro censimento copre ormai l’intero territorio nazionale, passando da 14 a 18 Regioni e da 65 a 99 Province, e più in generale i principali distretti agricoli del nostro paese. Le mappe regionali, utili per capire dove è localizzato lo sfruttamento intensivo e a quale mobilità internazionale e nazionale sono soggetti i flussi dei lavoratori, ci confermano quanto già denunciato nel primo rapporto: lo sfruttamento agricolo e il caporalato sono fenomeni localizzati (seppur con forme e intensità diversa) in tutto il territorio nazionale. Le mappe, dunque, tengono conto delle segnalazioni dei lavoratori al sindacato, le inchieste della magistratura e l’intervento degli organismi ispettivi. Abbiamo deciso di utilizzare una scala d’intensità per non generalizzare la gravità dei singoli fenomeni di sfruttamento, dunque con il colore verde abbiamo censito i distretti dove le condizioni di lavoro sono sostanzialmente buone, con il giallo le condizioni di lavoro “indecenti” e con il rosso gli episodi di “grave sfruttamento”. A questo si aggiunge un lavoro certosino d’incrocio dei flussi sulla base delle singole stagionalità e delle principali nazionalità – comunitarie e non – censite.
L’ultima parte del rapporto è costituita dalla raccolta di alcuni materiali utili per chiunque volesse approfondire il tema, ma soprattutto per chi come noi vuole combattere ogni forma di sfruttamento in agricoltura. Spiccano alcune iniziative per assicurare maggiore trasparenza e legalità nella gestione del mercato agricolo, come ad esempio la proposta Flai – Fai – Uila per un mercato del lavoro agricolo pubblico, l’accordo sperimentale per l’attuazione di uno sportello per il collocamento presso il Comune di Eboli nella Piana del Sele e il recente provvedimento della Regione Puglia per l’attuazione degli indici di congruità contro il lavoro nero e il caporalato in agricoltura.
I PRINCIPALI DATI
Riportiamo qui alcuni dati presenti nel rapporto: in primis il peso dell’illegalità e dell’infiltrazione mafiosa nell’intero settore, stimato nell’ultima relazione della Direzione Nazionale Antimafia in circa 12,5 miliardi di euro. Questo dato però deve tener conto di una spiccata dimensione internazionale assunta dalle mafie negli ultimi decenni. Sono, infatti, più di 3600 le organizzazioni criminali di stampo mafioso attive solo nell’UE, con un danno stimato in 670 Miliardi di mancati ricavi, con un effetto depressivo per l’intero sistema economico comunitario. In questa rinnovata posizione delle mafie nello scenario globale, grande rilevanza è assunta dal controllo sempre più pervasivo della contraffazione dei prodotti agroalimentari e dalla gestione illegale della tratta degli esseri umani (che spesso rischia di essere il primo anello della catena rappresentata dal business dello sfruttamento lavorativo e del caporalato agricolo). Dati sconcertanti sono riportati in merito ai sequestri e le confische per mafia relativi a terreni, aziende e attività legate al settore agroalimentare. Se facciamo riferimento solo al patrimonio confiscato i dati forniti dall’ANBSC ci dicono che sono circa 2245 i terreni a destinazione agricola sottratti ai clan, a cui vanno aggiunti 362 terreni con fabbricati rurali e 269 terreni edificabili (dunque più del 25% dell’intero patrimonio confiscato). Il dato però cresce notevolmente se facciamo riferimento ai dati forniti dal Ministero della Giustizia in merito alla somma dei beni sequestrati, confiscati in primo grado e in via definitiva. In questa speciale classificazione i terreni agricoli sono circa 24638, mentre non è possibile fornire un dato certo sulle aziende del comparto agroalimentare sul totale di 7623 aziende sottoposte a misure di prevenzione, l’unica certezza riguarda il dato dei fallimenti, che coinvolge circa il 93% delle aziende sottratte ai boss. Dunque se da un lato la Magistratura e le Forze dell’Ordine compiono lo sforzo straordinario di reprimere le mafie, allo stesso tempo latita una strategia di promozione della legalità attraverso il riutilizzo produttivo dei beni e delle aziende confiscate, con notevoli ripercussioni sull’occupazione dei lavoratori coinvolti e sulla necessità di sfidare le mafie sul terreno dove continuano ad avere consenso, il piano sociale e economico. Non molto diversi sono i dati sulla contraffazione alimentare aumentata del 150% nelle economie maggiormente sviluppate e del 128% in Italia, con danni pari a 60 Miliardi di euro se sommati al fenomeno dell’Italian sounding, cioè dei prodotti che secondo etichettatura mendace richiamano al Made in Italy e invece sono prodotti altrove e con materie prime di dubbia qualità. Emerge poi in modo dirompente il dato relativo al sommerso occupazionale nel settore agricolo, che nel caso dei lavoratori dipendenti tocca la media nazionale del 43%, con un valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa pari al 36% per gli imprenditori disonesti che falsano la concorrenza e agiscono in un regime di mercato falsato.
Sconfortanti sono i dati sulla condizione dei lavoratori e le lavoratrici impiegate nel settore agricolo. Secondo la nostre stime sono circa 400.000 i lavoratori che potenzialmente trovano un impiego tramite i caporali, di cui circa 100.000 presentano forme di grave assoggettamento dovuto a condizioni abitative e ambientali considerate paraschiavistiche, anche se negli ultimi anni le denunce sono sensibilmente cresciute. Dall’introduzione nel codice penale del reato di caporalato (art. 603bis del codice penale) sono circa 355 i caporali arrestati o denunciati, di cui 281 solo nel 2013. Secondo le nostre mappe sono circa 80 gli epicentri dello sfruttamento dei caporali, in 55 di questi epicentri abbiamo riscontrato condizioni di lavoro indecente o gravemente sfruttato. Più del 60% dei lavoratori e delle lavoratrici costrette a lavorare sotto caporale – la maggior parte stranieri comunitari e non – non ha accesso ai servizi igienici e all’acqua corrente. Più del 70% presenta malattie non riscontrate prima dell’inserimento nel ciclo del lavoro agricolo stagionale. Poi ci sono le intollerabili tasse dei caporali che sono pagate dai lavoratori e dalle lavoratrici e da tutti noi in termini di mancato gettito per la fiscalità generale. Solo in termini di mancato gettito contributivo il caporalato ci costa più di 600 Milioni di euro l’anno. I lavoratori impiegati dai caporali percepiscono un salario giornaliero inferiore di circa il 50% di quello previsto dai contratti nazionali e provinciali di lavoro, cioè circa 25/30 Euro per una giornata di lavoro che dura fino a 12 ore continuative. A questo bisogna aggiungere le “tasse” da corrispondere ai caporali dovute al trasporto (circa 5 euro), all’acquisto di acqua (1,5 Euro a bottiglia) di cibo (3,5 Euro per un panino) e commissioni varie dovute all’impossibilità di accedere a beni di prima necessità come il cibo e i medicinali. In molti casi, soprattutto al sud, i lavoratori sono costretti anche a pagare l’affitto degli alloggi fatiscenti nei tantissimi ghetti lontani dai centri urbani e da occhi indiscreti. I lavoratori non scelgono di vivere in questi contesti fatiscenti, ma sono costretti a farlo, visto che solo in quei luoghi troveranno un caporale che gli offrirà una giornata lavorativa. Nell’indagine da noi svolta emerge sempre più in forma dirompente la debolezza di alcuni strumenti legislativi: da un lato la fragilità dell’attuale norma contro il caporalato che punisce solo il caporale e non gli imprenditori che si avvalgono della loro intermediazione, dall’altro la scarsa applicazione delle previsioni normative previste dal recepimento della Direttiva europea n.52, che avrebbe dovuto assicurare un regime di protezione speciale per i lavoratori e le lavoratrici sfruttate. In particolare sono le donne e i bambini ad essere l’anello più debole dello sfruttamento, le prime spesso costrette a essere inserite nel circuito dello sfruttamento della prostituzione e i secondi costretti a lavorare nonostante la giovane età in condizioni che non fanno onore ad un paese che si definisce civile.
LE SINGOLE STORIE E I PROCESSI
All’interno del rapporto è possibile trovare le storie di numerosi lavoratori che hanno deciso di denunciare i propri sfruttatori, di chi ha ritrovato dignità attraverso l’azione di tutela del sindacato, nonché una carrellata dei principali processi contro il caporalato e l’infiltrazione mafiosa nel settore agroalimentare. Si fa il punto sui principali processi che vedono alla sbarra caporali e imprenditori (Sabr a Lecce, Dacia a Taranto e Santa Tecla a Rossano Calabro) e le tante inchieste che negli ultimi anni hanno svelato un intreccio sempre più pervasivo tra le mafie e l’economia del nostro settore. Dai casi relativi alla “frutta connection” messa in atto da Camorra, ‘Ndrangheta e Cosa Nostra in merito alla gestione dei mercati ortofrutticoli (inchieste Sud Pontino, Bilico, Damasco I e II), al caso della gestione criminale di pezzi rilevanti di filiere strategiche per la nostra economia: dalle mozzarelle di bufala contraffatte e i caseifici gestiti da personaggi vicini ad ambienti malavitosi, al caso del caffè di bassa qualità, imposto dalla Camorra come nuova forma di estorsione ai danni dei bar nella provincia di Napoli e Caserta. Dal caso del vino in Sicilia e in Puglia, alla macellazione e alla panificazione clandestina gestita dai clan in Sicilia, in Campania, ma anche nel Lazio e in Emilia, fino alle ombre emerse dalle recenti inchieste che hanno coinvolto la filiera delle conserve di pomodoro. Tutte le storie censite non vogliono gettare discredito sul settore, al contrario, tenere alto il controllo di legalità perché siamo convinti che solo attraverso qualità e legalità si possa continuare a far crescere l’agroalimentare italiano apportando un beneficio in termini occupazionali e ricchezza per l’intero sistema paese.
HANNO COLLABORATO ALLA REDAZIONE DEL RAPPORTO:
Fondamentali nella raccolta dei dati sono state tutte le strutture Flai coinvolte, vere e proprie sentinelle sul territorio. Di uguale importanza il contributo dei rappresentanti della Magistratura e delle Forze dell’Ordine che hanno collaborato fornendo dati e competenze fondamentali, come le tante associazioni e rappresentanti delle istituzioni citate. Fondamentale il lavoro d’indagine svolto dal comitato scientifico dell’Osservatorio e da Francesco Carchedi, coordinatore del gruppo di lavoro che ha svolto l’indagine sulle condizioni di sfruttamento e caporalato in agricoltura, in collaborazione con Enrico Pugliese (Professore ordinario Sociologia del Lavoro – La Sapienza di Roma, già Direttore IRPPS – CNR), Lucio Pisacane (Ricercatore IRPPS – CNR), Lorenzo Trucco (presidente ASGI) e Salvatore Fachile (segretario ASGI). Nel rapporto è possibile trovare i contributi di: Franca Di Lecce (Federazione delle Chiese Evangeliche), Oliviero Forti (Caritas italiana) e di Roberto Iovino, Cinzia Massa e Jean Renè Bilongo della Flai. L’introduzione al testo è di Stefania Crogi, Segretario generale della Flai Cgil.
Flai Cgil