Sembra un titolo di altri tempi eppure rende bene l’idea di quello che sta accadendo in questi momenti di grave crisi che si prolunga ben oltre le aspettative. L’invasione di pane pugliese ha destato le giustificate proteste di chi in quel settore lavora e deve sottostare a certi obblighi. A destare perplessità è il prezzo al chilo della pagnotta, si dice 1 euro, probabilmente improponibile. La frase dubitativa è d’obbligo perché non si hanno certezze sul prezzo che, lo ricordiamo soprattutto agli albergatori che sono stati chiamati direttamente in causa, è riportato su fatture e/ o scontrini né, tantomeno, se si a possibile produrre e vendere a quei prezzi. Però, la polemica mi ricorda tanto quella degli anni passati sulla vendita dell’olio extravergine di oliva nei supermercati a 2 euro al litro quando solo la bottiglia di vetro, secondo le associazioni di consumatori, nel costerebbe quasi la metà.
Certo è che la necessità di stringere sui controlli sia quantomeno condivisibile, ma la questione allarme non riguarda solo il pane, bensì anche la materia prima, ovvero al farina. È con una lettera diretta all’assessore regionale all’Agricoltura Dino Pepe che la Copagri solleva “le negatività di una decisione che parrebbe essere fortemente punitiva per la nostra regione; si tratta degli aiuti “accoppiati” inerenti la nuova PAC 2014/2020 che per l’Abruzzo vedrebbe escluso il grano duro a favore delle colture oleose e proteiche nei terreni a seminativo.
La notizia non è ancora definitiva ma sembrerebbe irreversibile.
La cosa è accaduta nel periodo d’interregno tra le due amministrazioni regionali ante e post 25 maggio 2014, ma anche il suo predecessore ebbe ad esprimere fortissima contrarietà al riguardo condividendo la posizione con l’intero mondo della rappresentanza sindacale – professionale agricola.
La notizia, se confermata, è fortemente punitiva per la produzione cerealicola di qualità della nostra regione anche in virtù della presenza di due grandi marchi mondiali della pasta, De Cecco e Del Verde oltre ed altri minori, ed andrebbe a minare fortemente la creazione di filiere locali importanti sia per i produttori agricoli che per il territorio, a forte rischio abbandono produttivo, e per le stesse aziende pastarie le quali potrebbero avere forniture immediate ed a basso costo di trasporto”.
Sulla vicenda la posizione dell’organizzazione professionale è di ferma contrarietà “e rappresentata ad ogni livello istituzionale, comunicata mediaticamente e per nulla strumentale.
La preghiamo di fare un immediata verifica e, nel caso, ad adoperarsi per evitare questo scempio alla nostra agricoltura che non chiede forme di assistenzialismo ma opportunità di produrre per la qualità ed in un ottica di sviluppo; a tal riguardo, ai fini di evitare un possibile intervento a pioggia per l’utilizzo dei fondi comunitari per le produzioni “accoppiate”, bene sarebbe definire la produzione in aree vocate la cui definizione sia in carico alla stessa regione”.