Proprio mentre si avvia a conclusione una delle estati più travagliate dell’ultimo trentennio dal punto di vista meteorologico nelle librerie è disponibile da qualche settimana un interessantissimo saggio di Alfredo Fiorani dal titolo “Contronatura: il caos climatico – gli uragani non sono una metafora”, edito da Europa edizioni.
L’autore spezzino, da tempo residente in Abruzzo, ha voluto disegnare un lungo viaggio attraverso la storia dell’aggressione all’ambiente esercitata dall’uomo e la storia parallela dell’ambientalismo dalle origini, con la nascita in Inghilterra nel lontano 1865 del Commons Open Spaces and Footpaths Preservation Society, fino ai giorni nostri, con le strategie ambientali dettate dall’IPCC -Intergovernmental Panel on Climate Change.
Un’avventura esperenziale che non ha tralasciato le visioni ambientalistiche della letteratura, dell’arte, della politica, dell’economia, della cultura e, naturalmente, dei vari sodalizi a cominciare dal WWF.
Nel suo saggio Fiorani affronta quanto l’uomo ha saputo e riesce ancora ad incidere pesantemente sull’ambiente che lo circonda con conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti, anche attraverso il ricordo di episodi drammatici da Chernobyl al disastro di Ajka in Ungheria, e che spesso vengono sottovalutate così come l’ambientalismo non trova ancora radici comuni in tutto il globo fino ad affondare il proprio sguardo nel Green New Deal.
A Fiorani abbiamo chiesto perché il clima dovrebbe interessarci?
“In Italia c’è una scarsissima percezione delle problematiche legate al clima. Raramente si parla ad esempio della politica che sottende alcune scelte fatte dai governi in campo energetico e ambientale. Quando sono approvate proposte o certe leggi raramente ci si chiede: in vista di quale futuro? Vengono approvati sistemi di norme o fatte scelte di politica ambientale senza che vi sia nell’opinione pubblica alcuna reale coscienza degli effetti derivanti dalle loro applicazioni. Non c’è una chiara, solida e diffusa coscienza sui problemi che investiranno le prossime generazioni.
Ben strana questa situazione se si parte dalla considerazione che, secondo gli esperti, saranno proprio le fasce sub tropicali a risentire maggiormente dei rapidi e sostanziali cambiamenti climatici. Saranno proprio le aree mediterranee a dover affrontare le maggiori difficoltà.
In America, negli ultimi anni, soprattutto in conseguenza di alcuni eventi di natura catastrofica (uragani, incendi, ecc.) si è rapidamente diffusa una profonda consapevolezza circa la natura politica e civile delle scelte fatte in campo ambientale ed energetico.
Fino a venti anni fa, non si parlava di clima e gli scienziati non erano ancora in grado di affermare con certezza che le mutazioni climatiche registrate fossero dovute all’azione diretta dell’uomo. Solo nel 1996 e precisamente dal terzo rapporto IPCC, si comincia a discutere e a divulgare quanto e come l’uomo abbia potuto incidere sulle condizioni di equilibrio del clima”.
Ma esiste la reale possibilità di decidere del nostro futuro?
“Se non si riescono a disciplinare i furbi, nessuno contribuirà più al bene pubblico” diceva Ernst Fehr. Occorre affermare con forza l’importanza di creare o riscoprire negli individui la coscienza del “bene collettivo” per uscire dalla dimensione dell’interesse personale, del bene individuale ed egoistico che si traduce poi in un sostanziale disinteresse per i problemi che investono la socialità. Non cambieremo gli scenari ipotizzati se non contribuiremo alla formazione di una coscienza sociale che segni l’equilibrio tra gli interessi personali/nazionali”.
Quindi è questo il punto nodale per una vera scelta ambientalista?
Certo, lo sviluppo della coscienza sociale diventa l’espressione di una più alta reciprocità e razionalità umana, il fondamento di un’efficace politica ambientale.
Oramai le questioni ambientali riguardano l’intero pianeta: nessun Paese può sentirsi immune. Ciascuno in misura diversa dovrà dare il proprio contributo alla formazione del principio di sostenibilità. Tutti e a tutti i livelli dovranno sentirsi consapevoli e responsabili. I mezzi di comunicazione di massa, insieme con le organizzazioni ambientaliste, rivestiranno un ruolo fondamentale nella formazione e sensibilizzazione di una coscienza ecologica, focalizzando punti nevralgici: previsione, osservazione, soglie critiche ed innovazione. La concertazione di tutto ciò contribuirà alla costituzione di politiche di mitigazione e adattamento”.