Un sillabario di voci autobiografiche, un vocabolario della vita o, se si vuole, un dizionario di esperienze che Giovanni Tesio – firma prestigiosa de “La Stampa”-“Tuttolibri” e ordinario di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea all’Università Piemonte Orientale – ha raccontato ieri sera al pubblico di Casa Rossetti con la semplicità di chi ha saputo in tutta la sua carriera e in tutta la sua vita apprezzare ogni gesto intimo che si nasconde dietro la parola. Un tema centrale quello del secondo incontro, perfettamente a suo agio nella rassegna “Scritture dell’Io” (ogni sabato, Sala Loggia Amblingh, ore 18, fino al 06 dicembre), organizzato dal Centro Europeo di Studi Rossettiani, diretto da Gianni Oliva, che ha fatto gli onori di casa e ha presentato e scoperto di Tesio, con una chiacchierata informale, le vicende umane e la caratteristica peculiare della scrittura del critico torinese: una scrittura che si rivela con la straordianria ricchezza dell’ “essenzialità”, accompagnata da una saggezza nell’uso delle parole secondo la lezione di Primo Levi Primo Levi (di cui Tesio è il biografo ufficiale), «un uomo deve pesare bene le sue scelte… e anche le sue parole», che fa di questo libro un piccolo manuale alla scoperta di scrittori noti e meno noti, letti, amati e odiati, ma anche uomini comuni e senza nome che si incrociano tra i lemmi con le osservazioni di viaggio, gli appunti di taccuino e le senzazioni personali, condivisibilissime da chiunque abbia quella particolare attenzione per ciò che si nasconde nelle pieghe delle piccole cose.
Senza lirismi di sorta e aneddotica romanzesca Tesio non si abbandona mai ad un naufragio dell’Io, ma si tiene strette le sensazioni provate e annotate puntualmente, quasi diaristicamente, perché quel «piccolo vocabolario portatile», ha in sé il pregio della memoria e, cosa rara, del desiderio di condividere in maniera sana e di tramandare ciò che accade e gli appartiene. Scrive Maurizio Crosetti su “Repubblica”: «l’alfabeto di Tesio non ha pretese di completezza perché nulla le ha, quando si parla di parole. Ci sono quelle urgenti e quelle assenti, quelle che diventano rimandi, cortocircuiti, assonanze e quelle che abitano altrove, ma non per questo meno essenziali, forse solo meno necessarie. Un vocabolario portatile, dove non hanno minore dignità i termini un po’ «fuori corso», ingiustamente occultati, quasi dimenticati. Parole come diligenza, perdente, discrezione, pazienza, capaci di disegnare non solo un gusto letterario ma una visione della vita, un senso etico forte e discreto com’è nella cifra stilistica dell’autore: un maestro della critica letteraria e dell’insegnamento, ma sempre in posizione accuratamente laterale, come quei ciclisti d’epoca che correvano i grandi giri da isolati, si chiamavano proprio così, senza squadra e senza correnti, senza appartenenze». Da accoglienza a voce, passando per mediocrità, ogni parola ha il suo suono universale per chi sa leggere tra le righe. Qualcuna ha il sapore del quotidiano comune, che assume un valore assoluto e indiscutibilmente alto quando parla a chi con nonno Giovanni trascorre le giornate, quando non è all’asilo e senza mamma e papà; e se ci si addormenta, ascoltando le storie raccontate, di ritorno da un viaggio in macchina, significa che qualcuno, senza dubbio, ha trovato quelle parole davvero “essenziali”.
Mirko Menna