Un unico nuovo ospedale di I livello per l’area Lanciano-Atessa-Vasto funzionalmente collegato, per i casi più complessi, con un centro di riferimento magari da individuare in un presidio di II livello con tutte le specialità medico-chirurgiche ed i servizi h 24 nell’area metropolitana di Chieti-Pescara. È l’ipotesi di Antonio Spadaccini, direttore dell’Unità operativa complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva del San Pio che interviene nel dibattito sulla nuova rete ospedaliera regionale che ha visto la mobilitazione anche degli utenti con manifestazioni di piazza in difesa delle strutture più piccole.
“È anacronistico continuare a sognare la costruzione in Abruzzo di cinque nosocomi a Lanciano, Vasto, Giulianova, Sulmona ed Avezzano. Se mai si riuscisse effettivamente a realizzarli, in base agli standard organizzativi nazionali, sarebbero ridimensionati, avrebbero al massimo 200 posti letto e limitate capacità clinico-assistenziali” sottolinea Spadaccini. “L’obiettivo prioritario della Regione è garantire assistenza appropriata ed uniforme ed una rete dell’emergenza efficace. Le risorse economiche disponibili già limitate ed in costante diminuzione non possono, però, essere sufficienti per tutti i presidi attualmente operativi” puntualizza il primario di Gastroenterologia. “Tenendo presenti i bisogni clinici territoriali, va ridisegnata la tipologia degli ospedali e la loro collocazione. Non servono solo nosocomi per acuti altamente tecnologici ma anche strutture capaci di fornire risposte socio-sanitarie seppure di non elevata complessità, rispondenti ai bisogni delle comunità locali” aggiunge.
“Il nuovo regolamento sugli standard qualitativi licenziato dalla Conferenza Stato-Regioni prevede e classifica tre tipologie di ospedali a decrescente complessità e la sua applicazione imporrà anche all’Abruzzo la rivisitazione della propria rete ospedaliera. Non è più pensabile mantenere attività clinico-assistenziali per pazienti acuti in presidi che invece andrebbero riconvertiti” sostiene. Per Spadaccini i nuovi ospedali abruzzesi dovrebbero essere il riferimento di bacini d’utenza non inferiori a 200-250mila utenti con 350-400 posti letto ed adeguate risorse tecnologiche e umane.
“Valutando caso per caso, alcuni nosocomi di base potrebbero continuare ad essere operativi. Una delle soluzioni percorribili per ottimizzare l’assistenza sul territorio è rappresentata dalle cosiddette Case della salute o ospedali di prossimità, comunità, territoriali o distrettuali. Hanno una gestione infermieristica, la presenza attiva di medici di medicina generale e possono garantire servizi diagnostico-terapeutici di base avvalendosi di team multi-specialistici. In prospettiva sono una risorsa soprattutto per alcune aree non densamente popolate e con un’utenza soprattutto costituita da anziani. Possono essere efficientemente attrezzate con una ventina di posti letto per interventi sanitari potenzialmente erogabili a domicilio ma che, per impedimenti di varia natura non si riesce ad assicurare direttamente a casa del paziente” conclude Spadaccini.
(fonte il Centro)