Qualcuno ha scritto che nel bene non c’è romanzo, ma non è vero. Dipende dai tempi. Quando sono tristi anche una storia serena può appassionare. C’è chi va alla ricerca di cibi genuini, ed è opera meritoria; c’è chi cataloga osterie e descrive monumenti, ed è impegno assai civile; e c’è chi impiega il suo tempo andando alla scoperta di scandali, e il materiale non manca. Noi, più semplicemente, intendiamo percorrere un itinerario diverso e insolito: andare a trovare uomini e ascoltare vicende che, in giorni incerti e cupi come gli attuali, incoraggino la speranza. Diceva uno scrittore russo dell’epoca staliniana: “Mi basta anche un fiammifero per riscaldarmi”. Iniziamo questo viaggio da Pollutri, centro a pochi chilometri da Vasto. Qui da alcuni mesi testimonia il Vangelo un giovane diacono. E lo fa parlando di Gesù Cristo con molta semplicità, offrendo alle persone che incontra il suo sorriso, la sua amicizia e il suo amore. A proposito di amore, penso allo scrittore francese Bernanos e al suo “Diario di un curato di campagna”. Una volta gli chiesero: “Cos’è l’inferno?”. E lui: “L’inferno è il non amare!”. Don Erminio, è questo il nome del giovane diacono di cui parliamo e che fra meno di due mesi riceverà l’ordinazione sacerdotale, ha abbandonato studi che gli avrebbero procurato successo e quattrini per percorrere la strada molto ostica del sacerdozio. Oggi si direbbe una scelta controcorrente, difficile da comprendere. Ma lui è sereno, è una roccia. Perché nel suo animo albergano la tranquilla certezza che Dio esiste, e la consapevolezza che con il Vangelo si può incendiare il mondo. La nostra Nausica Strever ha incontrato don Erminio in un pomeriggio di festa per la comunità parrocchiale di Pollutri. Con lui ha parlato lungamente. L’intervista che segue, e che rappresenta l’inizio del nostro viaggio, è il risultato di quel colloquio.
Alfonso Di Virgilio
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È raro trovare ancora un giovane che abbracci l’impegno di diventare sacerdote in modo così semplice e carismatico come Don Erminio Di Paolo, giovane diacono di 32 anni che abbiamo incontrato per farci raccontare la sua testimonianza di vita e di fede. Originario della parrocchia dell’Immacolata Concezione di San Vito Chietino, dopo aver iniziato un percorso di studi in Chimica Farmaceutica, è entrato in seminario all’età di 25 anni. Durante i sette anni del suo percorso, ha avuto altre esperienze pastorali nella casa circondariale di Pescara, nella parrocchia di Sant’Alfonso in Francavilla al mare, nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Guardiagrele. Per un anno, ha ricoperto l’incarico di segretario festivo del vescovo. Per lui, quest’anno si presenta molto intenso: accanto alla terminazione del suo percorso di studi, sta concludendo l’anno di esperienza pastorale a Pollutri, nella chiesa del Santissimo Salvatore. L’11 giugno discuterà il “Baccalaureato” in teologia con una tesi dal titolo La forma Christi in Tommaso da Celano. Sarà ordinato sacerdote il 29 giugno nella cattedrale di San Giustino a Chieti.
Com’è nata la tua vocazione?
Probabilmente era in germe già da bambino, sono sempre stato molto praticante e ho partecipato attivamente alla vita della parrocchia. È stata una decisione che ho maturato nel corso degli anni e che è molto dipesa dall’esempio dei parroci Don Luigi Ranalli, Don Cassio Menna e Don Davide Schiazza. La cosiddetta conversione sulla via di Damasco è avvenuta il 14 gennaio 2005, durante la messa di presentazione del nuovo parroco Don Davide Schiazza. In quell’occasione anch’io ho detto il mio sì al Signore… e pensare che ero arrabbiato per il trasferimento di Don Cassio Menna. Prima di questa data importante, l’arcivescovo, proprio durante l’annuncio del trasferimento del mio parroco, mi venne vicino e mi chiese: “E se Cristo ti chiamasse?”. Non so come sia riuscito a comprendere che quest’intenzione era già presente in me, ma ad entrambi piace ricordare quest’episodio come una tappa di quella che fu la mia vocazione. Durante gli incontri di preparazione prima dell’ingresso in seminario, è stato molto significativo per me ascoltare la testimonianza di un seminarista che aveva abbandonato la sua attività calcistica per seguire la chiamata.
Come hanno reagito parenti e amici alla notizia della tua entrata in seminario?
Ho comunicato questa decisione alla mia famiglia dopo aver concluso i primi tre anni di preparazione al percorso di seminario, per cui sia mia madre sia uno dei miei fratelli sono rimasti molto sorpresi e inizialmente un po’ scioccati. Mio padre, invece, che è credente, ma è il meno praticante della famiglia, ha condiviso la mia decisione da subito. Anche gli altri membri della famiglia, dopo i primi due giorni di schock hanno gioito di questa decisione. Nei primi tre anni di preparazione, invece, mi sono stati molto vicini due amici, Enzo e Ivano, ai quali avevo rivelato le mie intenzioni dall’inizio. Sono stati i miei due confidenti e mi hanno accompagnato in questo percorso: mi hanno sostenuto, senza mai farmi perdere il contatto con la realtà e invitandomi a preparami al meglio per il difficile compito del sacerdozio.
Cosa ti resta degli anni del seminario?
Sono stati anni belli, di grazia, nei quali mi sono affidato a quattro pilastri fondamentali: la preghiera, vale a dire la cura viva del rapporto con il Signore, lo studio della Teologia e della Storia ecclesiastica, importanti per approfondire la figura di Gesù e per venire a conoscenza della tradizione e dell’andamento delle cose del mondo, le relazioni umane, che sono fondamentali da sviluppare per un buon sacerdote e infine lo sport che amo molto, che è stato un motivo di crescita e di passione.
Credi che la Chiesa abbia modificato l’iter di formazione dei suoi sacerdoti?
Il seminario non è un più un ambiente chiuso, come poteva esserlo prima del Concilio. Accanto alle discipline tradizionali, l’offerta formativa è stata ampliata anche con discipline umanistiche come la psicologia e la filosofia moderna, oltre che le lingue moderne. Si cerca di curare l’aspetto spirituale, umano e culturale del seminarista. Abbiamo anche degli psicologi che ci affiancano nel percorso di discernimento. Prima del pastore, infatti, bisogna lavorare sull’uomo. All’interno della struttura, chi vuole, può praticare attività sportiva grazie al campetto di calcio o può dedicarsi alla cura del settore liturgico-musicale. Ciascuno dei seminaristi ha un compito ben preciso e si occupa del bar interno i cui proventi vanno i beneficenza all’Unicef, del refettorio, della foto-copisteria o della biblioteca, che è aperta anche a studiosi esterni.
Breve bilancio dell’esperienza a Pollutri.
Fin da subito mi sono trovato molto bene con Don Giuliano, una persona estremamente generosa, che mi ha lasciato carta bianca nell’ideazione di nuove proposte per la parrocchia. Quella di Pollutri è una bella comunità, la cui forza è rappresentata dai giovani. Sono state fondamentali per me l’esperienza liturgica e l’entrata in contatto con situazioni di sofferenza della parrocchia. Tra le tante attività svolte, è stato un regalo grandissimo curare la preparazione dei dodicenni al sacramento della Cresima: ho proposto loro di essere piccoli messaggeri evangelici e li ho incaricati di distribuire i Vangeli nelle case del paese. Per i ragazzi, ho organizzato, inoltre, il torneo di calcio San Sebastiano, in onore della mia passione per lo sport. Insieme a Don Giuliano abbiamo ideato le iniziative per la Missione Popolare, in particolare abbiamo attivato dei centri d’ascolto nelle ex- scuole rurali che consistono nella lettura e nel commento di brani del Vangelo. A turno, i vari gruppi parrocchiali, poi, raccontano come ha influito sulla loro esperienza quel passo. Prossimamente, vorrei portare i gruppi d’ascolto nei due bar del paese e nel pub, per coinvolgere chi non frequenta la parrocchia. Ho in mente d’invitare i presenti nel bar a riflettere sui brani del Vangelo di Marco riguardanti il processo, la morte e la resurrezione di Gesù.
Come vivi il tuo essere giovane in relazione al sacerdozio?
La giovinezza è per me un incentivo per portare Cristo ed esprimere al meglio l’essenza del cristianesimo che è incendiare il mondo con la propria fede. Da quando il Signore mi ha chiamato, ho potuto sperimentare una grande pace interiore e ho raggiunto la felicità. Non è stata una rinuncia abbracciare il sacerdozio, ma un completamento della mia vita. Il Signore mi ricompensa ogni giorno per le piccole cose che mi ha tolto.
Cosa diresti ai giovani per avvicinarli alla fede?
Non bisogna avere paura, il Signore lancia continuamente dei twitter e non vuole altro che la nostra felicità. In questa società liquida ci richiama a un impegno forte, sul quale la nostra vita si può fondare. Solo in questo modo la nostra interiorità non crolla. Ai non credenti, potrei solo dire “vieni e vedi”: hanno bisogno di essere accompagnati nella fede e di vedere tanta carità nella chiesa, testimonianza tangibile dell’amore di Cristo. Ho sempre amato molto il brano della lavanda dei piedi, che indica questo tipo di servizio.
Ritieni che la Chiesa debba aggiornarsi o credi che ci siano già state delle aperture significative?
Per le situazioni morali bisogna aspettare la seconda parte del Sinodo, poi bisognerebbe leggere con attenzione l’Evangelium Gaudium di papa Francesco. Negli ultimi 50 anni ci sono stati tre papi santi, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco I e non è un caso. Con la comunicazione, si sono fatti passi avanti, ora il papa lancia messaggi con Twitter e usa parole semplici. I giovani dovrebbero rifarsi a questi esempi e a quelli di molti martiri cristiani.
Nausica Strever