Il consiglio comunale dice no al cambio di destinazione d’uso del Molino Village e l’impresa chiede l’annullamento della delibera e di tutti gli atti connessi e consequenziali. Si è aperto un contenzioso sull’elegante complesso edilizio realizzato in contrada San Tommaso, in una zona classificata D4, ossia destinata ad insediamenti turistici. Filippo Molino, titolare della ditta che si è vista rigettare la richiesta di “sanatoria”, ha presentato un ricorso al Tar di Pescara. Il costruttore rivendica il cambio di destinazione d’uso del residence consentito dalla legge regionale 62 del 2012, contro il quale si è espressa l’assemblea civica il 26 gennaio scorso con un provvedimento, votato solo dal centrosinistra, che ha ribadito la vocazione turistico- ricettiva della Marina.
L’amministrazione comunale, dal canto suo, ha deciso di costituirsi in giudizio «per tutelare l’operato dell’ente» e con una delibera di giunta ha formulato un atto di indirizzo al dirigente dell’Avvocatura affinchè provveda alla nomina di un legale.
Insomma, si apre un altro capitolo nell’annosa querelle del Molino Village, una vicenda che, al di là degli aspetti giudiziari, offre uno spaccato della gestione urbanistica del territorio. Il progetto prende le mosse nel 2004 quando l’impresa Molino&Molino srl presenta in Comune un piano particolareggiato per la realizzazione di un villaggio turistico a due passi dal mare. Dopo tre anni, il 23 aprile del 2007, arriva il via libera del consiglio comunale che approva il piano, ma con un vincolo sulla destinazione d’uso dei 120 residence previsti nel progetto: gli immobili non potranno essere utilizzati come residenze, ma solo come case per le vacanze. Inizia la costruzione del complesso immobiliare e nel gennaio del 2013 scatta il sequestro della magistratura che contesta una serie di abusi edilizi, tra cui la realizzazione di residenze private al posto del villaggio turistico, in una zona classificata D4, ossia destinata ad insediamenti turistici. Sarebbe stato quindi eluso il vincolo di destinazione urbanistica. Dopo alcuni mesi, mentre l’inchiesta va avanti e trova il suo epilogo nel rinvio a giudizio degli indagati, l’impresa presenta una richiesta di sanatoria cogliendo al volo la possibilità offerta da una legge regionale che consente il cambio di destinazione d’uso.
L’ultima parola, però, spetta al consiglio comunale che lo scorso mese di gennaio ha detto no alla “sanatoria”, aprendo le porte al ricorso del costruttore.
Anna Bontempo