Gioacchino Bruno e Claudia Zappasoli sono due membri della comunità Papa Giovanni XXIII che gestiscono la casa famiglia Manuela in contrada San Lorenzo. Sono una coppia speciale che, in linea con la scelta vocazionale della Papa Giovanni, condivide la sua vita con gli ultimi, prendendo con sé, i figli che nessuno vuole perché affetti da seri problemi sociali o da disabilità. Attualmente sono papà e mamma di otto figli, di cui quattro minori e quattro adulti: Diana, Ibra, Marco, Omar, Raffaele, R.C., Silvio e Valerio.
Com’è iniziata la vostra esperienza con la Papa Giovanni XXIII?
Venti anni fa abbiamo avuto il nostro primo affidamento familiare, indipendentemente dalla Papa Giovanni. Abbiamo avuto delle difficoltà con questo bambino, che ci hanno spinto a partecipare alla riunione della Papa Giovanni per chiedere consiglio. A sorpresa, la comunità ci ha proposto di accogliere [fase precedente all’adozione,ndr] un altro bambino, Silvio. Così, abbiamo deciso di iniziare il cammino vocazionale della comunità e abbiamo avuto anche un’altra accoglienza, Marco. Il nostro cuore si riempiva di gioia per questi figli, tanto che abbiamo deciso di aprire una casa famiglia, per poterne prendere in affidamento molti di più.
La storia della casa famiglia in breve.
Nel 1997 abbiamo aperto la casa famiglia a Grottammare (AP), ma sei anni fa ci siamo dovuti trasferire perché abbiamo subìto uno sfratto. L’unica casa famiglia a norma era quella di Vasto, per cui siamo arrivati in questa città. Il trasferimento è stato molto duro, gli adulti hanno perso il lavoro, i bambini si sono dovuti adattare in un nuovo ambiente e in nuove scuole. Allora eravamo undici: Angela, Ibra, Omar, Mirko, Silvio,Veronica, Valerio, Luca e Sandro. Alcuni sono rimasti, altri sono andati via. Per brevi periodi abbiamo ospitato anche alcuni detenuti o alcune persone in difficoltà. Una differenza fondamentale rispetto alle altre case famiglie, infatti, include la possibilità per i ragazzi di poter rimanere con noi anche dopo il compimento dei 18 anni: sono loro che decidono se andarsene o no.
Com’è organizzata la vostra giornata?
Non è molto differente dalle altre famiglie. La mattina i bambini vanno a scuola, gli adulti al lavoro, poi ci riuniamo tutti per il pranzo, il pomeriggio i bambini fanno i compiti e svolgono le varie attività ricreative. C’è chi fa piscina, chi fa danza, tutti i bambini stanno preparando anche un musical con il gruppo missionario di Cupello. Ognuno fa la sua parte aiutando nelle faccende domestiche e riordinando le stanze. La sera guardiamo la tv, poi andiamo a nanna.
Vi sentite una famiglia diversa dalle altre?
Siamo una famiglia diversa dalle altre per i “numeri” e per la mancanza di un legame di sangue. Non ci siamo scelti, la vita ci ha messo insieme, per cui ci sono delle difficoltà ad instaurare un equilibrio tra tutti i membri, ma una volta raggiunto, viviamo nell’armonia, anche se ci sono i consueti litigi tra fratelli.
Che cosa sostiene Gioacchino e te in questo duro compito?
La scelta vocazionale alla quale abbiamo aderito quando siamo entrati nella Papa Giovanni. Vivere con tutti questi nostri figli in difficoltà è il nostro modo di seguire il Vangelo. Dal punto di vista concreto, la Papa Giovanni ci dà il suo sostegno economico, non siamo stipendiati, abbiamo un fisso mensile che la comunità ci fornisce, calcolato in base al numero delle persone e alle esigenze dei ragazzi. Siamo supportati, inoltre, da un team di pedagogisti e psicologi, con i quali ci vediamo mensilmente, una volta a settimana incontriamo le altre case famiglia della Papa Giovanni, un confronto che è per noi di grande aiuto. Il cammino di formazione è lo stesso che fanno anche gli operatori sociali. Rispetto a loro, abbiamo una motivazione più profonda e interiore della fede che non ci fa correre il rischio di “uscire fuori di testa”, come spesso accade a quelli che lo svolgono solo per mestiere.
Nausica Strever