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Il linguaggio dei politici

 

Nella prima parte di questa intervista, pubblicata nei giorni scorsi, il professor Guido Brunetti ha delineato un ampio quadro delle basi neuroscientifiche della politica, fornendo un prezioso contributo alla conoscenza e allo studio di quelle rappresentazioni mentali e di quei comportamenti che ricoprono rilevanza politica.

In questa seconda parte, il nostro eminente interlocutore disegna un attraente panorama neuroscientifico del  linguaggio con particolare riferimento a quello  dei politici.

C’è, professor Brunetti, un rapporto tra linguaggio, cervello e mente?

“Come già abbiamo sostenuto, i progressi delle neuroscienze in questi ultimi anni hanno generato una vera e propria rivoluzione scientifica non soltanto nei metodi di diagnosi e cura in medicina e psichiatria, ma anche nelle nostre millenarie concezioni, a partire dai sistemi filosofici. Soprattutto, attraverso le splendide metodiche di neuroimaging, la ricerca ci ha permesso di guardare all’interno del mistero del cervello e di scoprire come la mente analizza e decodifica il linguaggio, riconosce i volti, codifica le idee, le emozioni, i pensieri, l’arte. Scoperte importanti poi hanno mostrato il modo in cui gli esseri umani e le altre specie animali apprendono il linguaggio. Di grande rilievo scientifico, la scoperta di aree cerebrali coinvolte nei sistemi di comunicazione”.

Ci può indicare quando incomincia la ricerca sul linguaggio?

 “Confinato per secoli ai margini, lo studio del linguaggio si è imposto nel Novecento all’interno di varie discipline, come psicologia, filosofia, psicoanalisi, linguistica, antropologia, soprattutto per merito di autori fra i quali Peirce, de Saussure, Jakobson, Putnam, esponenti di quella branca conosciuta con il nome di strutturalismo. Il termine non è univoco, in quanto legato a un’ampia dispersione di teorie differenti e contrastanti formatesi nell’ambito delle scienze umane. A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, decolla quella che abbiamo definito la rivoluzione delle neuroscienze. Lo studio del linguaggio considerato storicamente campo esclusivo della filosofia, diventa oggetto di indagine empirica delle neuroscienze cognitive. Le quali  modificano profondamente teorie e ipotesi precedentemente formulate e arricchiscono in modo spettacolare il corpus  di conoscenze in materia linguistica, dando vita nel 1985 alla nascita della neurolinguistica. Importante, tra gli altri, il contributo di Noam Chomsky nel sostenere le teorie innate del linguaggio e l’esistenza di una grammatica universale ”.

C’è un passaggio epocale. E’ così?

“I primi esperimenti neurobiologici mostrano come il linguaggio presenti eccezionali e complesse caratteristiche e possieda molti livelli funzionali, mezzi espressivi, oggetti, segni, simboli. La ricerca  evidenzia che l’uomo non è la sola specie in grado di comunicare. Gli animali imparano a ‘interpretare’ i segni e ad emettere segnali. Animali, come ad esempio, uccelli, api, delfini e arvicole utilizzano differenti sistemi per trasmettere informazioni e comunicare tra loro attraverso una combinazione di sguardi, espressioni facciali, posture, gesti, cure parentali e vocalizzazioni. Gli scimpanzé sono ‘maestri’ nell’uso della comunicazione ed hanno una grande ‘padronanza’ del linguaggio del corpo (de Waal). Gli esperimenti rivelano che le grandi scimmie hanno capacità linguistiche e sistemi per utilizzare segni simbolici. Gli umani e le scimmie adoperano gesti oro-facciali come principale modo di comunicare. Unito a quello non verbale e gestuale, il linguaggio è dunque una manifestazione delle fantastiche attività di gruppi neurali e regioni cerebrali”.

Come si può definire il linguaggio?

Definiamo linguaggio  l’espressione simbolica del cervello e della mente. Uno strumento di ‘traduzione’ del pensiero e delle emozioni, di stati coscienti e inconsci. Una facoltà mentale di comunicare, dove tratti semantici, segni, significanti e significati sono affidati anche ai metalinguaggi, gesti, tono della voce, viso, mimica, velocità dell’elocuzione, movimenti degli occhi, sorriso, riso, postura. In pratica, è una struttura di comunicazione ‘specie-specifica’, che si distingue da quella di ogni altro animale, che permette di formare un numero infinito di segni (dal greco semeion,semiotica) e che riveste molte funzioni, come quella conativa ed emotiva. E’ a Platone e Aristotele che si deve il concetto di linguaggio come ‘rispecchiamento’ del cervello, fondato sulla logica, e la distinzione fra segno, significante e significato, uno studio che  percorre tutta la storia della filosofia. L’uomo è ‘l’animale- ha scritto Aristotele-  che possiede il logos, il linguaggio.  L’analisi del linguaggio poi è legata alla filosofia di Kant, al sorgere delle scienze umane nell’800, alle teorie di  Wittgenstein, che riprendono i concetti di Platone, agli orientamenti dell’ermeneutica di Heidegger e alla psicoanalisi.

Dopo questa chiara e accurata disamina filosofica e scientifica del fenomeno in questione, vuole illustrarci il linguaggio dei politici?

 “Anche il linguaggio dei politici, nella sua dimensione semantica e sintattica con l’analisi e l’interpretazione dei segni comunicativi e della struttura dei testi, è un processo cognitivo, espressione dell’organizzazione neurale e dei dispositivi cerebrali. Un tempo- ha sostenuto Schwatzeberg- ‘a fare politica erano le idee’. Oggi, la politica tende alla ‘spettacolarità, alla visibilità, alla messinscena’, al linguaggio iconico attraverso segni conativi ripetuti in modo ‘quasi ossessivo’. Non è importante comunicare qualcosa, ma apparire. Più che un mezzo razionale di analisi, il linguaggio dei politici diventa -ha affermato McLuhan- un ‘rumore di fondo’  e il politico un soggetto ‘inaffidabile e insincero’. Il linguaggio dei politici mostra un declino progressivo. Si passa da una lingua colta a una lingua ‘debole’, fatta spesso di parole basse, scatologiche, di garbugli lessicali e anticaglie linguistiche. Le ricerche mostrano la presenza di una cattiva, grossolana e sciatta comunicazione, espressa attraverso una grammatica e una sintassi elementare, banale e insulsa, e arricchita  con errori linguistici. Gli scritti dei politici, per Orwel, sono  scadenti, di nessuna consistenza razionale, lessicale e contenutistica. Prevale la ‘cattiva comunicazione’,  la quale comporta una ‘cattiva politica’. Una politica che si è ‘deteriorata’ e, con essa, anche il linguaggio politico, logoro, saturo, ripetitivo. E’ un linguaggio che insegue quello dei social network, termini ad effetto, slogan, turpiloquio, volgarità. Si ricorre alla semplificazione che appare ‘vaga e insincera’, svuotata di significato, ragionamento e riflessione. Una comunicazione ‘non comunicante’, e che non sa comunicare. Pure il presidente Obama ha sottolineato sia il trend ‘distruttivo’ di una politica americana ‘urlata’ e impregnata di ‘retorica volgare’ che i ‘danni’ prodotti dalla civiltà dei social e dalla ‘balcanizzazione’ dei media. Le  strategie comunicative -spiega Brunetti-  sono concepite e utilizzate per   imporre un candidato (candidate-oriented ), costruendo un’immagine  in modo simile a come si opera per  ‘acquistare’ un ‘prodotto di consumo’ nella pubblicità. Si tratta di un modello ‘potenzialmente pericoloso’, in quanto si fonda sull’equiparazione tra ‘prodotto politico’ e ‘prodotto commerciale’(Menger). La politica si trasforma in infomercial. Fatto che modifica in sostanza la natura stessa della politica, che diventa un processo rituale e ‘privo di senso’ nel quale il solo fatto di essere visibili non è rivelatore di ‘nulla’. Il risultato è che il cervello, essendo selettivo, sceglie e respinge la maggior parte dei messaggi. Questo mostra che i messaggi emozionali e simbolici, l’immagine iconica e sonora, i segni del linguaggio politico e la spettacolarizzazione  non potranno mai sostituire i concetti, il pensiero, le idee (Roscher),  e i tratti caratteriali e mentali del soggetto politico”.

Come concludere, professor Brunetti?

 “Diventare leader, possedere carisma o uno stile per comunicare e decidere sono aspetti della personalità che non si acquisiscono attraverso i libri o la costruzione di un’immagine ‘mass-mediatizzata’. Sono strategie che  non servono a costruire lo standing e altre doti personali di fascino, equilibrio mentale, attitudine al comando, forza di persuasione, ecc. Il cervello di ciascuno di noi, come hanno dimostrato le neuroscienze, ha proprie caratteristiche. La combinazione genetica, le varie  esperienze familiari e socio-culturali ed altri numerosi fattori fanno del cervello individuale una struttura irripetibile. Reagan, de Gaulle e la Thatcher, ad esempio, si sono imposti per le loro qualità, per la loro levatura intellettuale e morale, per i loro principi, per la loro autorevolezza o empatia. Il carisma, se non c’è, uno non se lo può dare. A determinarlo concorrono molteplici  elementi, come tratti personali, connessioni sinaptiche, sistemi neurali e meccanismi cerebrali insieme con fattori ambientali. La mente umana non è soltanto origine e manifestazione della vita individuale, ma anche causa finale, progettualità e condizione essenziale del ‘finalismo’ del mondo”. Essere uomini- conclude il professor Brunetti- significa dunque dare  senso alla vita, essere chiamati alla crescita e al bene della persona umana. Secondo la nostra concezione, la ricerca del bene è il fine sia della morale che della politica.  Di conseguenza, la politica, in base all’analisi epistemologica da noi condotta, coincide con l’etica. L’etica della responsabilità”.

Giusepe Catania

 

 

 

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