Il lattosio è lo zucchero del latte, è presente nel latte materno, nel latte di mucca, di capra, di pecora e in molti altri prodotti caseari o derivati del latte, solo i formaggi stagionati possono essere consumati tranquillamente poiché con la stagionatura il contenuto di lattosio si riduce o si perde completamente in quanto viene trasformato in acido lattico. È presente anche come additivo in molti insaccati, come il prosciutto cotto, e come eccipiente in molti farmaci. Da un punto di vista chimico è formato da una molecola di glucosio e una di galattosio legate insieme, per digerirlo il nostro corpo utilizza un enzima chiamato lattasi che ha il compito di idrolizzare, cioè spezzare il legame tra glucosio e galattosio permettendo a questi zuccheri di essere assorbiti nel sangue come nutrienti. Il galattosio è importante per la formazione delle strutture nervose del bambino, mentre il glucosio è il più importante substrato energetico primario del nostro organismo.
Essere intolleranti al lattosio non significa essere allergici al latte, nell’intolleranza vi è una difficoltà nel digerire questo zucchero, nell’allergia c’è una reazione del sistema immunitario verso le proteine del latte; in questo caso anche piccolissime quantità di lattosio possono scatenare uno shock anafilattico. Gli intolleranti, invece, possono assumere un certo quantitativo di lattosio senza presentare neanche disturbi digestivi, ma quando si verificano sintomi quali: gonfiore, crampi addominali, gas intestinale, flatulenza e diarrea o stipsi da 1-2 ore o a poche ore dopo aver bevuto latte e consumato prodotti contenente lattosio, vuol dire allora che l’organismo ha raggiunto la soglia massima tollerata e si manifesta l’intolleranza. Questo succede perché c’è una deficienza dell’enzima lattasi, enzima prodotto dalla mucosa del duodeno, per cui lo zucchero non può essere scisso e metabolizzato e di conseguenza non può essere assorbito e passa non digerito fino al tratto terminale dell’intestino dove viene attaccato dalla flora batterica con richiamo di acqua, produzione di gas, fluidi e acidi grassi a catena corta che provocano i sintomi descritti sopra. L’insorgenza della sintomatologia dipende anche dal cibo associato, in quanto è legata anche alla velocità di svuotamento gastrico: se il lattosio si sposta velocemente dallo stomaco all’intestino i sintomi saranno più evidenti, quindi se il lattosio viene ingerito insieme ai carboidrati, soprattutto quelli semplici, che aumentano la velocità di svuotamento gastrico, i sintomi saranno più intensi, mentre se viene ingerito insieme ai grassi che riducono la velocità di svuotamento gastrico, i sintomi saranno ridotti o assenti.
Il lattosio è importante nella prima infanzia dove è necessario per lo sviluppo della funzionalità dell’intestino nel lattante che produce la lattasi; secondo il dr. Andrea Ghiselli, dirigente di ricerca presso il Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione di Roma, dopo lo svezzamento, però, la quantità dell’enzima diminuisce e tra i cinque e i dieci anni cessa del tutto. Ma, allora, perché il 35% della popolazione mondiale riesce ad utilizzare il lattosio da adulti? Sempre secondo Ghiselli è dovuta ad una mutazione che si è verificata nel corso dell’evoluzione, nella popolazione del Nord del mondo il progresso evolutivo ha consentito di digerire il lattosio anche da adulti, in modo da approvvigionarsi di vitamina D e di calcio, perché in quelle zone la radiazione solare è meno intensa. Ovviamente i soli sintomi non sono sufficienti per diagnosticare una intolleranza al lattosio, perché sono sintomi riscontrabili anche in altre patologie, è necessario eseguire dei test tra i quali il breath test o test del respiro che misura il tasso di idrogeno nell’aria espirata dal paziente dopo la somministrazione di 20-50 g di lattosio; chi non digerisce il lattosio tenderà ad avere valori piuttosto alti.
Esistono tre forme di intolleranza al lattosio: congenita, genetica e acquisita.
La forma genetica è provocata da un deficit di produzione della lattasi, si può manifestare nel bambino con lo svezzamento oppure più tardivamente nell’adulto per una riduzione progressiva della produzione della lattasi; la forma acquisita è secondaria ad altre patologie acute come infiammazioni o infezioni dell’intestino, o croniche intestinali come la celiachia, il morbo di Crohn, sindrome dell’intestino irritabile. E’ una forma transitoria che si risolve con la guarigione della malattia responsabile; la forma acquisita, molto rara, di origine genetica a insorgenza precoce (si manifesta sin dalla nascita) che si manifesta con un’incapacità permanente di produrre la lattasi funzionale e persiste per tutta la vita. Una diagnosi corretta è importante per escludere dalla dieta in modo totale o parziale, a seconda della gravità, gli alimenti che contengono lattosio.
Anche se si è intolleranti, comunque, si riesce a tollerarne una certa quantità, secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare questa quantità è di circa 12 grammi che corrispondono a un bicchiere di latte in un’unica assunzione. In caso di intolleranza al lattosio il calcio può essere assunto con altri alimenti come spinaci, radicchio, cavoli, broccoli, carciofi, mandorle, nocciole, sgombro, sardine e alimenti ricchi di vitamina D come il salmone e le uova. Non esiste una cura per l’intolleranza al lattosio, quello che di può fare è escludere dalla dieta alimenti contenti lattosio per un periodo di almeno 3-6 mesi, per permettere la remissione dei sintomi e la ripresa della normale funzionalità intestinale; dopo tale periodo si reintroduce nella dieta bassi quantitativi di lattosio per poi aumentarli gradualmente, questo se di parla di intolleranza acquisita, in caso di intolleranza genetica, invece, il lattosio deve essere dalla dieta in modo permanente, anche se secondo Ghiselli non bisognerebbe smettere completamente di assumere latte e latticini perché possono stimolare la produzione della lattasi da parte dell’intestino. Sono in corso studi clinici per imparare a prevenire, a diagnosticare o a trattare in modo efficace l’intolleranza al lattosio per migliorare la qualità della vita delle persone che soffrono di questo problema.
Dr.ssa Manuela Di Silvio
Consulente nutrizionale – Farmacista