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«Una sconfitta della democrazia, così si svaluta la famiglia»

L’Arcivescovo Bruno Forte, scelto da Francesco come segretario speciale dei due Sinodi sulla famiglia, tra le voci più aperte della Chiesa italiana, non è mai stato così duro:  «Una sconfitta, certo, e anche un impoverimento della vita democratica su una questione che può avere un impatto enorme per il futuro della società»

Ma perché, eccellenza?
«Vede, la democrazia è tale se su tutte le questioni – ma specialmente su quelle che hanno uno spessore etico e ricadute sociali e culturali – c’è la possibilità di portare e discutere tutti gli argomenti, pro e contro, e valutarli in un dibattito libero e aperto».

Se ne discuteva da anni…
«Vero, ma è proprio nel momento in cui si arriva al voto che tutti hanno il sacrosanto diritto di esprimersi. Mi pare scorretto, tanto più in questo caso: sui temi etici le posizioni sono trasversali rispetto agli schieramenti. Se si vuole ricompattare con un sì o un no, si fa un danno a tutti».

Il testo è stato più volte corretto, la fiducia non era un modo per proteggere un compromesso faticoso?
«Mah, se fosse così sarebbe una logica di bassa politica. Il politicante trova scappatoie immediate, magari ad ogni costo. Il politico cerca la via per la quale ciò che decide oggi non solo non danneggi, ma accresca il bene comune nel futuro».

Insiste sul futuro, cosa la preoccupa?
«Qui è in gioco una visione della società. Siamo di fronte ad un istituto giuridico nuovo, con il rischio che possa essere assimilato alla famiglia tout court. La famiglia non è un elemento fra gli altri, è la cellula fondamentale della società. Nella Chiesa abbiamo vissuto un Sinodo sulla famiglia, ricevuto da Francesco un’Esortazione di grandissimo spessore. Come diceva il Vaticano II, nella Gaudium et Spes, la famiglia è la vera grande scuola di umanità, dove si diventa persone. Il luogo di quella relazione educativa che ha bisogno della reciprocità fondamentale tra uomo e donna…».

Però nel testo approvato non si parla più di stepchild adoption, l’adozione del «figliastro»…
«Temo che il discorso possa portare a questo. Il sospetto che tanti hanno messo in luce è che si sia partiti dal modello famiglia per tentare di applicarlo alle unioni civili».

Lei è tra coloro che non si opponevano al riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali…
«Una cosa è la regolamentazione di alcuni diritti, come l’eredità, un’altra un istituto in qualche modo assimilato alla famiglia. Ecco la grande domanda: regolare dei diritti o creare un nuovo istituto giuridico, analogo alla famiglia? Il problema è l’assenza di un dibattito che aiuti a distinguere con precisione. Ed eviti un’operazione di trasferimento che svaluta la famiglia. Se non se ne discute, se ognuno non porta sue idee, il rischio è che passi qualcosa che può essere assimilato all’istituto familiare e lo indebolisca. Dopo l’approvazione le cose andranno approfondite, ma temo che il rischio non sia eluso».

Ma in che modo la famiglia formata da uomo e donna ne verrebbe danneggiata?
«La grande sfida del presente è aiutare le famiglie, sostenerle. La crisi economica, una denatalità spaventosa…E l’indebolimento, prima che culturale e sociale, è già evidente sul piano materiale, al di là delle buone intenzioni: se equipari un altro istituito alla famiglia le risorse, già scarse, vengono inevitabilmente divise».

Che farà ora la Chiesa?
«Come vescovi lo valuteremo forse già la settimana prossima, durante l’assemblea generale della Cei. Al di là del rispetto dovuto ad ogni persona, non può esserci equiparazione tra unioni omosessuali e famiglia. Da parte della Chiesa resta sempre l’annuncio del Vangelo della famiglia come istituto fondamentale della vita umana, sociale e cristiana».

Gian Guido Vecchi
corriere.it

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