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Tunnel carpale sul lavoro, ecco la sentenza

Spostava 2mila pezzi a turno: movimenti ripetitivi che alla lunga gli hanno procurato una infiammazione cronica della borsa tendinea dei flessori e la compressione del nervo mediano. Tunnel carpale la diagnosi dei medici, una sindrome che per il giudice Caterina Salusti è da ricollegare alle condizioni di lavoro di un operaio metalmeccanico cinquantenne, costretto a ricorrere all’intervento chirurgico – peraltro non risolutivo – a causa dei dolorosi disturbi lamentati. Con una innovativa sentenza il magistrato ha riconosciuto la malattia professionale e ha condannato l’Inail alla corresponsione della relativa indennità. Il lavoratore, N.M.,  addetto alla produzione in una fabbrica della Val di Sangro, residente nel Vastese, è assistito dall’avvocato Fabio Giangiacomo, legale Inca-Cgil.

“Il giudice del lavoro ha riconosciuto la malattia professionale nonostante il documento di valutazione dei rischi non ritenesse pericolosa la sua postazione”, spiega l’avvocato Giangiacomo, “in pratica la sentenza mette in relazione il tunnel carpale bilaterale diagnosticato all’operaio metalmeccanico alle condizioni di lavoro.Giovi sapere che,  a fronte della crescita in quantità e qualità delle malattie professionali  non corrisponde affatto  un incremento di ricorsi in materia , ostacolati dall’impostazione dell’Inail che privilegia il cosiddetto documento di valutazione dei rischi (Dvr) e le sue tabelle statistiche di pericolosità, che, però,  non sono affatto idonee a stabilire giudizialmente  le cause di infortuni e malattie professionali. Come nel caso di specie”, continua Giangiacomo, “per risalire alla causazione lavorativa bisogna uscire fuori dalle statistiche redatte a cura del datore di lavoro e addentrarsi nelle particolarità del caso concreto,  verificando ad esempio la effettività allo stato attuale dei rilievi del documento,  l’incidenza degli incrementi produttivi , il particolare stato di salute del lavoratore. Il tunnel carpale e le altre malattie professionali da posture incongrue, da movimentazione di carichi, da rumorosità elevate e dall’uso di materiali nocivi sono oggetto di una presunzione legale di derivazione lavorativa, capace quindi di superare le previsioni astratte del documento di valutazione dei rischi che ha solo una mera valenza preventiva e programmatoria di derivazione datoriale”,conclude il legale.

Nel caso specifico l’operaio, che si è rivolto alla Cgil per far valere i propri diritti, spostava 2mila pezzi a turno, movimenti continui che a lungo andare gli hanno provocato una dolorosa sintomatologia compromettendo l’uso delle mani. Neanche il successivo intervento è servito a fargli recuperare la piena funzionalità degli arti.

              Anna Bontempo (Il Centro)

 

 

 

 

 

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