La notizia seria e drammatica che ci giunge in questi giorni ci informa che circa 500 dipendenti della multinazionale Honeywell saranno dal 2 aprile 2018 licenziati. Questo ramo importante del polo industriale abruzzese sarà tagliato e trasferito in Slovacchia.
Il processo di delocalizzazione ha avuto inizio da diversi anni e ha interessato anche altre parti del territorio, come l’area industriale di Val Sinello che ha subito licenziamenti e perdita di posti di lavoro di migliaia di unità. Chiusura di stabilimenti uguale impoverimento economico e sociale dei lavoratori e ricadute negative sul tessuto economico; crisi diverse a cui assistiamo.
A fronte di questo invece, registriamo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Gentiloni che vorrebbe rincuorarci sostenendo che la “economia italiana migliora, la crescita esiste, che il paese non sarebbe il fanalino di coda della Europa”. Non dice Gentiloni che il debito pubblico è giunto a circa 2.300 miliardi di euro (dati ufficiali di Bankitalia), e che gli interessi che i cittadini pagano ogni mese sfiorano i 5 miliardi!.
Quello che ci sconcerta nell’apprendere della prossima chiusura della Honeywell e del licenziamento degli operai e impiegati, è che nonostante l’intervento del ministro Calenda alle trattative per scongiurarne la chiusura e la volontà del governo italiano di immettere oltre 50 milioni di euro a sostegno della azienda, i vertici dello stabilimento respingono ogni proposta che la impegnino a mantenere i livelli occupazionali attuali.
Altro motivo che ci sconcerta è che questo stabilimento, negli anni, ha ricevuto fondi statali per circa 5 milioni di euro, dopo essere nato negli anni 1991-92 come Piaggio e avere subito due trasformazioni societarie, fino a diventare HONEYWELL- GARRETT. Non solo ha ricevuto dallo Stato e dalle tasse dei cittadini diversi milioni pubblici, ma ha beneficiato di una lunga serie di agevolazioni fiscali, di contributi per i contratti di formazione, di fondi per il Mezzogiorno, fondi per acquisto di macchinari, insomma ha ricevuto provvidenze e sostegni economici dello Stato pur di creare occupazione e dare stabilità sociale e benessere alle popolazioni.
Insomma siamo alle solite: massimizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite (Ernesto Rossi), la storia che si ripete. Di fronte a tutto ciò, la risposta della proprietà è la fine del polo di Atessa, che per la sua speciale condizione di tecnologia e di capacità operaia risulta essere una delle prime aziende al mondo. Purtroppo la debolezza della politica e dei suoi rappresentanti ci mostra un quadro avvilente e senza speranza per il futuro, anche se Pupillo presidente della provincia si duole di questa drammaticità assieme al sindaco di Atessa Borrelli. Ma sono solo parole che non incidono sulla realtà e non cambiano le decisioni della azienda.
Su questa triste vicenda operaia attendiamo di conoscere quale impegno o che azione ha attivato il presidente regionale ANCI Luciano Lapenna (rappresentante dei comuni e che immagino conosca da tempo la questione, poiché da oltre due mesi scioperi e picchetti operai, mobilitazioni di sindacati, mobilitazione dei cittadini testimoniano della gravità del polo di Atessa), o se ha già mosso qualche iniziativa. Al momento lo ignoriamo. Debolezza della politica fa il paio con la debolezza culturale di classi o ceti dirigenti che si sono avvicendati in questi anni. Dopo avere assistito alla fine o scomparsa di interi settori industriali dove il paese eccelleva, come il settore auto, chimico, elettronico, informatico, ci tocca constatare che siamo stati condotti a questo fallimento da improvvisati politici, da improvvisati top manager, da improvvisati imprenditori
Ivo Menna responsabile ONA osservatorio nazionale amianto
Responsabile della Lista La nuova Terra