«Vissi d’arte» sottolinea Floria Tosca nel secondo atto dell’omonima opera pucciniana. Un verso coniugato al passato remoto che mi è tornato alla memoria ripensando a quell’uomo che, da bambino, aveva visto il padre operare con i corpi porosi di terracotta rivestiti di smalto. E parlo di quel papà Alfredo che, con le sue maioliche, aveva contribuito, nel 1938, al rinnovamento della facciata del santuario dell’Incoronata di Vasto. Va da sé che, da un’esperienza così intensa, diventa evidente cogliere il rapporto d’amore intrattenuto dal bimbo con le vernici ai minerali di stagno che, fin dal 1862, i suoi avi avevano sperimentato nel laboratorio di Rapino.
Visse d’arte Roberto Bontempo. Nel suo sangue pulsava la bellezza per il colore. Una passione che aveva trasferito nell’organizzazione del Premio Vasto, ereditando il vecchio premio, dal 1959 al 1966 intitolato a un vecchio mecenate. Ma grande merito dell’avvocato «par excellence» fu soprattutto quello di superare la profonda crisi attraversata dall’istituzione dal 1979 al 1984: gli anni di completa interruzione del certame pittorico. Dalle ceneri di quella storia conclusa nacque la splendida rassegna d’arte contemporanea odierna i cui battenti chiuderanno tra breve: il 7 ottobre. E con la sua scomparsa, un’uscita dalla scena insieme con la sua creatura. Un congedo di rara potenza espressiva che il destino riserva ai migliori. Qualcosa di sottile e di evocativo che solo un genio del teatro elisabettiano come Cristopher Marlowe riuscì a tradurre in un’icastica proposizione latina: «terminat hora diem; terminat auctor opus». Il che vuol dire: «l’ora chiude il giorno; l’autore chiude la sua opera».
Già. Visse d’arte Roberto Bontempo quando avvicinò la città alla grande musica d’organo, in ragione del nuovo strumento installato dalla parrocchia di S. Giuseppe. Che dire! La risposta d’un gran signore. D’un facitore controcorrente di turismo che, nelle architetture sonore della classicità, vedeva le architetture armoniche di una città allora in crescita. Una cosa voglio ancora ricordare! Nelle passeggiate nel centro storico da lui volute con il Coro Polifonico «Histonium» per illustrare la storia della città, non ho mai parlato di quel singolare «tricipitium» – tre teste al centro di una bifora appena visibile, incassata nel paramento murario esterno dell’abside della Madonna della Purità a S. Maria – che sintetizza la visione agostiniana del tempo: passato, presente, futuro. D’una triade che esiste solo nell’interiorità e che guarda alla vita e all’eticità della persona. Proprio a quella vita d’arte che Roberto Bontempo praticò nel privato, da cittadino e da uomo delle istituzioni.
Non finirò mai di ripetere che visse d’arte Roberto Bontempo. Riuscì perfino a trasformare in un bronzo d’artista la protagonista assoluta della spiaggia: quella bagnante che, su di uno scoglio di Scaramurza, dal 1974 rende grazia alla nobile bellezza dei corpi al sole.
Qualcosa di geniale e di irripetibile. Qualcosa che mi fa dire di fronte al suo corpo esanime ciò che il buon Orazio pronunziò di fronte a quello di Amleto appena spirato: «Buona notte, principe gentile. E schiere d’angeli t’accompagnino cantando alla tua pace».
Luigi Murolo