L’idea che si viene formando in molti è quella di una Italia contro il resto del mondo. Evoca un match epico, che comprendeva i più forti giocatori del pianeta. La partita Italia-Resto del mondo fu giocata all’Olimpico di Roma il 16 dicembre 1998. Vincemmo 6 a 2. Sembra improbabile che le nuove sfide finiscano allo stesso modo. In Europa e in Italia affiorano nuove realtà sociali e politiche, un clima di incertezza e confusione. Come comprendere e decodificare questi fenomeni? Quali le origini, le motivazioni, le cause? Abbiamo rivolte queste ed altre domande al professor Guido Brunetti nell’intento di approfondire e chiarire i comportamenti e i complessi e difficili problemi che attraversano il mondo di oggi.
Professor Brunetti, che cosa sta succedendo?
“Il mondo, l’Europa, l’Italia appaiono instabili, caratterizzati da frammentazione, discontinuità, non-ordine. C’è la tendenza a demolire strutture, regole, principi consolidati. Il mondo occidentale sembra scosso da uno scompiglio, un turbamento economico, culturale, psicologico e morale. Su tanti Paesi del continente poi si sta rovesciando, come concordano altri autori, una bufera nazionalista e antieuropeista. La ‘lunga scivolata’ dell’economia, il crollo delle vecchie ideologie e delle élite, la perdita di certezze e valori, l’involuzione della classe dirigente e di quella politica stanno conducendo l’Italia a un triste declino. Tutto questo sta rafforzando il senso di inquietudine e di precarietà individuale e sociale, la rabbia e l’aggressività, l’odio e la paura. Un mondo diviso in due: una parte stanca e frustrata, una parte incattivita. Vengono scosse le basi della società e gli animi ne sono agitati. Questo malessere è stato captato e raccolto da forze sovraniste e populiste a vocazione ‘cesaristica’ (Cassese). Emergono sintomi di dissenso e ribellione”.
Di qui, l’idea di sfidare tutto e tutti? L’Italia contro il resto del mondo?
“Nella concezione di queste forze, avere dei nemici ha una base strategica. Nemici esterni, come l’Europa, la Francia, Macron, la Germania, il Fondo monetario, ecc.; e nemici interni. Molti comportamenti indicano la ricerca quasi ossessiva di creare sempre nuovi nemici”.
Quali, i rischi?
“Il nostro Paese può subire un processo di emarginazione e isolamento. Il rischio è quello di tornare ai primi del Novecento. L’immagine cioè di una Italia bistrattata dalle grandi potenze. Può l’Italia permettersi questa sfida? Le prove di forza si fanno quando si è in condizione di farlo, quando cioè si è forti. L’Italia non lo è. Siamo, come è stato scritto, un paese ‘piccolo’ in un ‘mondo’ grande”.
Come spiega, sul pano scientifico, questi comportamenti? Quale la loro genesi?
“Una vasta letteratura scientifica mostra che dalla notte dei tempi l’uomo ha avvertito il bisogno di crearsi un nemico. La massima morale homo homini lupus sembra tornata, come nota Lev Sestov, di grande attualità. Ricerche di antropologia, psicoanalisi ed etologia confermano queste affermazioni. Quando il nemico non c’è, occorre costruirlo, inventarlo: il barbaro, il lebbroso, il diverso, il negro, l’ebreo, l’immigrato. La politica, fin dalla sua nascita, ha sempre prodotto raggruppamenti di ‘amici’ in contrapposizione ad altri, ai ‘nemici’ (Mosca). Il legame politico è un fenomeno difficile, pieno di contraddizione e di ambivalenza. E’ soprattutto un processo di ‘conflittualità’, esclusione e contrapposizione”.
A che cosa è funzionale il bisogno di avere un nemico?
“La presenza di un nemico serve a definire e consolidare la propria identità, incrementare l’autostima, ottenere la coesione del gruppo, coagulare le energie attorno ad un capo, rinsaldare i legami di amicizia, ‘proiettare’ sulla sua persona aggressività, frustrazione, accuse, maldicenze, sintomi di angoscia persecutoria e forme di tipo schizo-paranoidee. Si tratta di un processo che ha profonde radici mentali, inconsce e consapevoli. E’ un processo che risale all’infanzia, alle prime, decisive relazioni emotive, affettive e cognitive tra il bambino e i genitori. Vogliamo dire che tutte le attività umane- politiche, economiche, culturali ed artistiche- hanno il loro punto fondamentale nel cervello umano”.
La figura del nemico ha dunque un ruolo importante?
“Il fattore costituito dall’esistenza di un nemico o avversario- spiega Brunetti- si pone come ‘categoria centrale’ della politica. La politica aggrega ed esclude. L’escluso è un ‘altro’, uno straniero, un nemico. I primi autori ad utilizzare la distinzione amicus-hostis come base di riferimento della politica sono stati C. Schmitt e J Freund, i quali hanno affermato che la separazione amico-nemico è il vero fondamento di ogni politica. Questa è lotta contro un nemico, è conflittualità poiché essa si costituisce ‘sempre e soltanto’ in presenza di un nemico. L’invenzione del nemico è in sostanza contrapposizione tra bene e male, si contrappone ad un ‘legame sacro’. Il nemico è il male assoluto, lo stregone, il demonio, un essere minaccioso, ignoto, non-umano. I nemici sono- scrive Tucidide- non-uomini, sono barbari. Sono comportamenti che mostrano la tendenza neurobiologica, innata, dell’uomo a rifiutare l’estraneo, un meccanismo cerebrale ‘difensivo’ dovuto anche ad angosce patologiche individuali (Eibl-Eibesfeldt). Attraverso questa immagine malefica, tenebrosa e istintuale, il nemico subisce un processo di ‘depersonalizzazione-deumanizzazione’. Come documentano le ricerche etologiche e antropologiche, l’antitesi amico-nemico si è dimostrata ‘determinante’ nei comportamenti politici sia sul piano storico che psicologico, fisiologico e neurobiologico. E’ pertanto una categoria che ha una valenza ‘universale’. Sono numerosi gli autori che hanno analizzato questi complessi, difficili e delicati rapporti. A cominciare da Eraclito a Platone, Aristotele, Spinoza fino a pervenire ai pensatori contemporanei”.
Quale conclusione emerge professor Brunetti da questi fondamentali temi?
“La politica e chi governa le istituzioni debbono saper prendere decisioni che siano conformi ai principi dell’etica, della filosofia morale e delle neuroscienze. La scuola, da dove partono i principi educativi e di etica, e le università hanno un ruolo principale nell’insegnamento dell’etica dei comportamenti. La politica, i politici, sono chiamati perciò ad analizzare, capire e operare in tal senso”.
Anna Gabriele