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La ZES in Abruzzo, una scommessa molto rischiosa

  1. L’istituzione di una Zona Economica Speciale non è una questione di rilevanza locale. Nel mondo si contano circa 2.700 ZES[1], per lo più in Asia e Africa. Le 8 ZES territoriali preordinate dallo Stato italiano rappresentano un caso pressoché unico in Europa occidentale, un esperimento su larga scala, denso di incognite. Non è detto che l’esperimento riesca.
  2. A sentire la stampa, i politici e gli imprenditori locali parrebbe che l’istituzione della ZES possa offrire solo opportunità, e nessun rischio. Non è così. C’è una vasta letteratura in merito. Ci limitiamo a citare l’Economist: “La mania delle ZES suggerisce che troppo spesso i governi li vedono come una facile conquista: fare un annuncio, mettere da parte un po’ di terra, offrire agevolazioni fiscali, e – presto!- le regioni in perdita o le industrie in difficoltà sono sanate. Se solo fosse così facile. Per quanto popolari, le ZES sono spesso un flop[2]”. Le ZES “creano distorsioni all’interno delle economie[3]”, e possono favorire investimenti speculativi. In Italia in particolare il rischio, si legge sul giornale di Confindustria (nazionale), è quello di replicare i guasti già emersi a seguito dei decenni di intervento straordinario nel Mezzogiorno: “l’introduzione delle ZES potrebbe stimolare positivamente nel breve periodo un’economia annaspante come quella meridionale, ma i nodi al pettine di lungo periodo –ex multis illegalità e mafia, gap infrastrutturale, pubblica amministrazione inefficiente– resterebbero tali[4]”
  1. Per questo, scrive l’Economist, le ZES sono più popolari tra i politici che tra gli economisti[5]. Esse, secondo la World Bank, possono essere efficaci a ben precise condizioni: “Non è l’esistenza di un regime di zona economica speciale, un piano generale convincente, o persino un’infrastruttura completamente costruita che farà la differenza nell’attirare investimenti, creare posti di lavoro e generare ricadute sull’economia locale. Piuttosto, è la rilevanza dei programmi della zona economica speciale nel contesto specifico in cui sono introdotti, e l’efficacia con cui sono progettati, implementati e gestiti su base continuativa che determineranno il successo o il fallimento[6]”. L’elemento determinante è dunque il contesto: quello economico e quello istituzionale.
  1. Diciamo che la Regione Abruzzo, negli ultimi decenni, non si è particolarmente distinta nella gestione di sistemi complessi come il sistema idrico o la sanità pubblica. Il che non fa tanto ben sperare. Tuttavia il Piano regionale di sviluppo strategico della ZES sembra in linea con le indicazioni suddette. “La Regione Abruzzo intende perseguire due strade fondamentali: da un lato, contribuire a rafforzare e consolidare ciò che di valido e competitivo si è riusciti a raggiungere nel corso di questi anni e, dall’altro, provare ad impostare una politica industriale di attrazione investimenti che parta dalla valorizzazione delle eccellenze in grado di configurarsi quali fulcro e volano per chi a quelle realtà vuole avvicinarsi[7]”. Con questa impostazione pare coerente la scelta di prevedere, tra le aree industriali interessate dalla ZES, l’ampliamento solo di quelle di Ortona e Atessa (semmai su S. Salvo ci sarebbe da discutere); meno, l’inclusione di alcuni comuni sparsi qua e là nella regione (ad esempio Roccaspinalveti nel Vastese), ciò su cui le critiche di Confindustria ci sembrano giustificate.
  1. Molto meno giustificate ci paiono invece le pretese che Confindustria locale accampa su Vasto. A Vasto non esiste un tessuto industriale significativo. Esistono, a Punta Penna, imprese che al territorio prendono molto più di quel che danno, e che probabilmente in un altro contesto non sarebbero state lasciate dalle amministrazioni locali così libere di fare. L’ampliamento della ZES in territorio vastese sarebbe dunque non solo in contrasto con l’impostazione generale del Piano regionale, ma rischierebbe altresì di replicare e anzi di incrementare gli errori del passato. L’insistenza di Confindustria di Chieti-Pescara al riguardo dimostra solo il miope localismo che da sempre contraddistingue questa associazione.
  1. Sin qui abbiamo parlato del rischio economico. Ma anche il rischio ambientale non è ovviamente irrilevante. Ricordiamo che la fascia litoranea tra Vasto e Ortona è interessata dalla perimetrazione del Parco Nazionale della Costa Teatina, al quale quasi tutti i politici, a parole, si dicono favorevoli. Gli stessi hanno anche sostenuto (senza conoscerle, perché sono state definite pochi giorni fa) che le semplificazioni procedurali previste dalla legislazione nazionale per le aree ZES, nonché quelle, ancora da definire, in programma da parte della Regione, sono compatibili con un Parco Nazionale. Mah…

A Vasto, poi, una riserva naturale, quella di Punta d’Erce, esiste già; e considerato che la perimetrazione della ZES comprende comunque l’intera area industriale, sebbene non ampliata, pare più che giustificato il timore di replicare, con un’intensità ancora maggiore, i conflitti che abbiamo attraversato negli ultimi anni. La nostra proposta è di pensarci prima.

Il Piano di assetto Naturalistico della Riserva, com’è noto, è in fase di revisione. Chiediamo al Sindaco di Vasto, Francesco Menna, e all’Assessore all’Ambiente, Paola Cianci, di convocare a breve su questo tema una sessione del Tavolo per l’Ambiente.

Associazione civica Porta Nuova, Vasto

Italia Nostra del Vastese

  1. P. S. Vasto Libera
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