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L’aggressore della Annibali: “Perdona il mio gesto”

Arrestato il 1 maggio del 2013 a San Salvo Marina dai Carabinieri di di Chieti e Pesaro che lo avevavo scovato assieme a due connazionali in una abitazione a San Salvo Marina pronti a fuggire in Albania a bordo di un furgoncino, Rubin Talaban, l’albanese 37enne che il 16 aprile 2013 sfregiò con l’acido Lucia Annibali, dal carcere di Larino in una lettera ora chiede perdono.

L’italiano è un po’ incerto ma il senso è chiarissimo. «Lucia perdonami» dice la prima riga. «Perdona il mio gesto indegno e brutale e perdona me che lo fatto (…) Ho provato ad essere nei tuoi panni e non posso stare più di qualche secondo nei momenti di dolore e di sofferenza causati da me. Che io sia maledetto per sempre(…) Vorrei abbracciarti e stringere le tue mani con le mie. Puoi essere la mia guida anche se il peccato lo porterò a vita (…) Non posso fare l’indifferente come se non c’è stato niente (…) Allungami la mano, Lucia, perché non sono un mostro ma un grande errore. Se mi perdoni mi aiuti». Firmato: Rubin Talaban. Una confessione.

L’ammissione di un uomo che mai, in tre gradi di giudizio e sei anni di carcere, aveva detto una sola parola per ammettere la sua colpevolezza. Rubin, 37 anni, è l’albanese che la sera del 16 aprile 2013 sfregiò Lucia Annibali. Lei all’epoca aveva 36 anni ed era avvocatessa a Pesaro (oggi è una parlamentare pd). Quella sera stava per aprire la porta di casa sua quando la sagoma scura di un uomo la spalancò dall’interno. Era lui, Rubin detto Ago. «Mi guardò, come a voler memorizzare il mio viso e fu l’ultimo a vederlo com’era» ricorda lei. «Fu preciso, lento, sicuro. L’ho visto prendere la mira e tirarmi il liquido in faccia, dal basso verso l’alto, da destra verso sinistra».

Sono passati sei anni. La giustizia ha presentato il conto definitivo: 20 anni a Luca Varani, l’ex fidanzato di Lucia che ordinò l’agguato, e 12 anni ciascuno a Rubin Talaban e al suo complice — il palo — che è un albanese come lui e si chiama Altistin Precetaj. Per tutto questo tempo ha prevalso il silenzio. Nessuna ammissione nemmeno davanti alle fotografie del volto di Lucia nei giorni più bui. Gli occhi cuciti, gli innesti di pelle, la sofferenza, il rischio di perdere la vista, la fatica di affrontare l’enormità fisica e psicologica di quelle condizioni. Fra allora e oggi ci sono una ventina di interventi chirurgici e una vita ricostruita daccapo, come il viso.

Quando la lettera di Rubin è arrivata nello studio legale di suo padre, a Urbino, Lucia l’ha letta una prima volta e l’ha messa da parte. L’ha lasciata in un cassetto cercando di non pensarci. Si è presa del tempo per capire quali emozioni avessero mosso, quelle parole. Rubin, lo sconosciuto che aveva accettato di fare il sicario e fare del male a una ragazza che non aveva mai visto in vita sua, adesso le chiedeva di allungargli la mano… Rubin che aveva abitato nei suoi incubi per notti e notti dopo l’agguato, ora chiedeva «perdono per dare senso alla mia vita».

Rubin il cattivo oggi giura che «sto cercando di migliorarmi perché anche la mia vita è cambiata».

«Se quello che scrive è la sincera verità — riflette lei —, se davvero oggi è consapevole di quello che ha fatto e non è più la sagoma scura che ho visto dentro casa mia, io lo posso anche perdonare. Ma quel perdono serve più a lui che a me. Deve fare i conti con quel che ha fatto come io convivo ogni giorno con quello che mi ha fatto, perdono o non perdono. Se tutto questo non è una carta da giocare per avere permessi o chiedere misure alternative, meglio per lui e per il suo futuro. Ma io dico anche meglio per tutti noi, perché ogni detenuto recuperato è una garanzia di sicurezza per la società intera. Detto questo, non è che ora diventiamo amici o che io abbia intenzione di incontrarlo. Tra l’altro la sentenza prevede che, espiata la pena, lui torni nel suo Paese…».

Arriverà il giorno in cui i responsabili dell’agguato saranno di nuovo liberi. «Finora il fatto che fossero detenuti e fisicamente distanti mi ha aiutato — ragiona Lucia — perché le vittime hanno bisogno di tempo e distanza per lavorare su se stesse e sul trauma che hanno vissuto. Io non voglio vendetta, sconteranno le loro pene e usciranno, va bene così. Io voglio solo vivere tranquilla».

Giusi Fasano (27esimaora.corriere.it)

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