Operazione Adriatico. A distanza di una settimana dalla sentenza della Corte di Cassazione, i carabinieri hanno bussato alla porta di molti indagati e per loro si sono aperte le porte del carcere. Solo per Rodrigo Mariano Lalla e Lino Croce, assistiti dagli avvocati, Alessandro Orlando e Fiorenzo Cieri la Cassazione ha estinto i reati.
La Suprema Corte ha invece dichiarato inamissibili i ricorsi presentati dai difensori di Giancarlo Cavuti (9 anni in appello), Lauro Cetrullo (12 anni), Loredana Cozzolino (12 anni), Luciano Michele De Stasio (10 anni), Bruno Di Nenno (6 anni e 8 mesi), Andrea Ferri (7 anni), Angelica Koidl (6 anni e 8 mesi), Simone Maccarone (8 anni), Joseph Martella (8 anni), Pasquino Nanni (6 anni e 9 mesi), Giovanni Silvestrino (anni e 6 mesi) ed Enrico Tumini (6 anni e 8 Mesi).
Confermate quindi per loro le pene emesse dalla Corte d’appello, ridotte rispetto al primo grado di giudizio. I giudici aquilani hanno infatti ritenuto che l’associazione che gestiva il traffico di sostanze stupefacenti nell’hinterland vastese non fosse di stampo mafioso. La prima sezione della Corte di Cassazione lo ha confermato.
Rigettato il ricorso proposto dalla Procura generale dell’Aquila, e conclusa una vicenda giudiziaria iniziata oltre cinque anni fa con gli arresti dell’operazione Adriatico operati su disposizione della Procura distrettuale antimafia dell’Aquila.
Il maxi blitz scattò il 6 febbraio 2014. Un imponente spiegamento di carabinieri . Ai militari locali si unirono gli uomini dei reparti speciali (Ros). Il blitz portò all’arresto di 15 persone e a oltre 80 indagati per i reati di associazione di stampo mafioso e traffico di sostanze stupefacenti. Secondo l’accusa al vertice del presunto clan mafioso c’erano Lorenzo Cozzolino, ex esponente del clan Vollaro operante nel napoletano, e la moglie Italia Belsole. Proprio questi ultimi decidendo di collaborare con la giustizia, scoperchiarono il vaso di pandora del crimine e permisero di trovare la chiave di molti episodi di violenza e criminalità avvenuti nel vastese dal 2003 al 2013.
Il tribunale di Vasto il 22 marzo 2016 condannò a pene severe gran parte degli imputati ritenendo sussistente il reato di associazione mafiosa. Solo un anno e mezzo dopo, il 7 ottobre 2017, la Corte d’Appello di L’Aquila ha riformato la sentenza di primo grado riqualificando i fatti nel reato di associazione semplice e rideterminando le pene inflitte. La sentenza della Corte di Cassazione conferma le condanne decise dalla Corte aquilana sul traffico di sostanze stupefacenti e, al contempo, ribadisce l’assenza del reato di associazione mafiosa ponendo una pietra tombale sul primo processo di mafia tenuto a Vasto.
Cancellate le condanne per associazione a delinquere di stampo mafioso, i 299 anni di carcere inflitti in primo grado si sono ridotti di un terzo. Estinte per prescrizione altre condanne. Per chi ha ricevuto la conferma della condanna si sono aperte le porte del carcere.
Paola Calvano (Il Centro)