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Un anno senza Rita Borsellino, in memoria di una donna coraggiosa che ha spiccato il volo chiedendo verità e giustizia

 

Più voci scompaiono, più è nostro dovere alzare la testa e farci sentire.  Il 15 agosto 2018, in un triste e caldo pomeriggio estivo, all’ospedale civico di Palermo, ci lasciava Rita Borsellino (73 anni). Una donna straordinaria il cui impegno civile è stato esempio per tanti giovani che hanno avuto modo di conoscere lei e la sua storia.

Raccontava spesso la sua infanzia così: ”ero la più piccola in casa e questo “status” di figlia, sorella minore, mi aveva sempre accompagnato riservandomi gesti, attenzioni, nomignoli che costituivano per me privilegi”.

Un’infanzia felice e una vita trascorsa insieme ai due fratelli maggiori, Paolo e Salvatore e all’altra sorella, Adele. Una vita che all’età di 47 anni venne stravolta da quel terribile boato, da quella strage che scosse la mente di ogni italiano, la cui brutalità oggi impressiona tutti coloro che giungono in quella strada, via d’Amelio a Palermo, in cui è possibile ancora respirare l’energia di Paolo e dei ragazzi della scorta (Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Walter Eddie Cosina).

Quanto accaduto la costrinse a confrontarsi con una realtà dura e terribile, quella mafiosa, scegliendo di raccogliere il testimone firmato con il nome di Paolo, facendo così la propria parte.

Del resto, dopo l’attentato, proprio Maria Pia Lepanto, la madre dei Borsellino che in quel 19 luglio 1992 sarebbe dovuta andare dal medico accompagnata dal figlio, si rivolse a Rita e Salvatore dicendo: “Adesso dovete andare dappertutto, dovunque vi chiamano, per non fare morire il sogno di Paolo”.

Così hanno fatto entrambi, seppur con cammini e storie diverse. Cammini che erano tornati ad essere un tutt’uno soprattutto nell’organizzazione delle commemorazioni della strage.

Lo scorso 19 luglio, ad un anno di distanza dal decesso di Rita, Salvatore è salito sul palco di via d’Amelio anche per sua sorella. E già dalle sue parole possiamo capire il carattere persistente di Rita, una donna che non si arrendeva facilmente e che non avrebbe abbassato la testa di fronte alla sfida che aveva davanti: “Il ricordo è qualcosa di cristallizzato nel tempo, fare memoria significa altro, vuol dire non ricordare un giorno all’anno portando una corona di fiori sul luogo dell’eccidio ma operare ogni giorno perché il passato non torni, perché a partire dai fatti del ’92-’93 si costruisca futuro e futuro libero”.

Oggi, purtroppo, guardando allo stato attuale della società in particolare per i giovani, il futuro libero che sognava Rita è difficile, o quasi impossibile da immaginare. Davvero è diventata utopia la speranza dei cittadini italiani di vedere arrivare uomini giusti, che facciano il loro dovere politico e istituzionale?

La risposta non è semplice ed è dovere di ognuno assumersi un pezzo di responsabilità affinché possa realizzarsi. Un cammino percorribile seguendo proprio l’esempio di Rita.

Già nel 1995 decise di rimboccarsi le maniche diventando vicepresidente dell’associazione Libera, fondata nello stesso anno da Don Ciotti.
Nel 2005 iniziò la sua navigazione nel mare burrascoso e imprevedibile della politica. Tra le sue esperienze più importanti ricordiamo quella di europarlamentare eletta del Partito Democratico, che durò dal 2009 al 2014.

Nella mente scorrono ancora le sue parole. Qualche anno fa, in un’intervista, diceva: “Ci sono stati svariati risultati, sul piano giudiziario con inchieste e arresti importanti, ma ci sono ancora pezzi di verità che mancano e non si è arrivati ad una verità ‘vera’ che ci possa spiegare cosa c’è stato davvero dietro la strage di via d’Amelio, cosa c’è dietro questa trattativa fra lo Stato e la mafia per il quale si sta facendo un processo e noi aspettiamo di conoscerne l’esito (si è concluso con la sentenza di condanna in primo grado per boss, ufficiali dei carabinieri e politici, ndr). Non posso cedere alla debolezza ma devo avere la certezza di arrivare alla verità, altrimenti non crederei più nello Stato, in quella parte dello Stato che deve poter trovare giustizia e libertà“.

Parole di speranza ma anche un monito. Perché vi è un pezzo di Stato complice che non è stato in grado, in 26 anni, di dare a Rita, alla famiglia Borsellino e agli italiani, le risposte che meritano. Come lei stessa affermava, l’entusiasmo iniziale circa l’eliminazione della mafia, animato dalle celebrazioni di processi, dai contributi di tanti collaboratori di giustizia, dai tanti arresti, condanne e campagne di stampa, trasse gran parte della società in inganno. Intanto che le carte venivano scombinate, la verità manipolata e l’opinione pubblica confusa, qualcuno giocava, con perizia, una partita parallela sporca. E Rita lo aveva ben chiaro: “Si è costruita una verità non vera per una giustizia non giusta. E quando si è costretti ad aggiungere aggettivi alle parole verità e giustizia, vuol dire che c’è qualcosa che non funziona”.

Don Luigi Ciotti, dopo le esequie, aveva descritto Rita Borsellino come “una donna di sostanza, una delle prime a capire che la memoria delle vittime andava trasmessa ai giovani come impulso di vita e verità, e come il desiderio di costruire un’Italia mai più compromessa con le mafie e con i corrotti”.

E in effetti Rita ha riempito di sostanza e di significato la vita di molti.

Così come Paolo Borsellino aveva fatto nell’ultima lettera scritta nel giorno della sua dipartita anche Rita amava rivolgersi alle giovani generazioni. “In una società che ritiene che tutto si possa comprare e vendere, non c’è posto per i Paolo Borsellino – diceva amaramente – Eppure i nostri giovani e quella parte ancora sana della nostra società guarda ai pochi esempi credibili come punti di riferimento irrinunciabili. E a loro mi rivolgo perché ritrovino la capacità di indignarsi, perché pretendano che la verità sia sempre vera e la giustizia sia sempre giusta”.

Un messaggio chiaro affinché la ricerca della verità non sia delegata a nessuno, ma diventi propria di ogni cittadino.
Com’è stato più volte ricordato in occasione delle commemorazioni della strage di via d’Amelio Rita non abbandonò mai le mura della sua casa e lo spazio di cielo sopra quella via. Fece davvero così, a dimostrazione della sua resistenza e della sua volontà di non mettere un punto a quella vicenda, bensì tre puntini di sospensione, con la speranza di arrivare finalmente un giorno alla verità. Purtroppo per lei, e per tutti noi, il suo corpo, ormai affetto da una malattia che durava da molto tempo, non ha resistito. Ci piace pensare che oggi Rita si trovi in un luogo più felice, in una società le cui fondamenta non affogano nel fango del denaro, dell’odio e dell’ipocrisia. Forse Rita ora vive assieme a suo fratello Paolo in una comunità i cui baluardi si riconoscono nell’onestà e nella giustizia. E il modo migliore per ricordare entrambi è ancora una volta operare ogni giorno perché il passato non torni, perché a partire dai fatti del ’92-’93 si costruisca veramente un futuro libero.

antimafiaduemila.com

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