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 Zi Umbertùcce De Filippis combattè a fianco del generale tedesco Rommel

 

 

Zi Umbertùcce De Filippis  se n’e andato da diversi anni. Era molto popolare a San Salvo, anche per il suo carattere gioviale. Appassionato di musica folk; cantava con una voce inconfondibile e si accompagnava con la chitarra. Cominciò a lavorare  sotto la guida attenta dei capomastri Paolo Malatesta e  Antonio Del Villano. Appena compiuti 18 anni, indossò la divisa  grigio-verde nel 31° Corpo Guastatori di Civitavecchia.  Scoppiò la guerra mondiale; partì  per il fronte slavo. Un giorno incontrò un battaglione di soldati italiani, tra i quali riconobbe due suoi compaesani: Rodolfo Granata e Antonio Mariotti.

Lasciò immediatamente il “gruppo” e  andò di corsa di corsa ad abbracciarli. L’emozione fu grande. Lasciò il fronte slavo e partì per l’ Africa. Era il 15 settembre 1941, salì a bordo della Vulcania,  scortata da due incrociatori, ma furono colpiti dalle  navi inglesi ancorate nel porto di Malta e si inabissarono. La nave sulla quale viaggiava  Umberto, non subì  nessun graffio. Arrivò a Zanzur.  Il caldo era insopportabile (52 gradi all’ombra). Mancava  l’acqua. Divampò la guerra per la conquista di Tripoli. Umberto aveva in dotazione  un obice di 45 calibri, che sapeva manovrare con grande perizia. Gli capitò  spesso di vedere il generale Rommel passeggiare e parlare concitatamente con gli ufficiali. Il supercomandante delle forze italo-tedesche, soprannominato la volpe del deserto,  sapeva  che Umberto aveva una predisposizione  per il lancio delle bottiglie incendiarie.  A El Alamein, l’8^ Armata britannica, travolse  le divisioni italo- tedesche,  che furono costrette ad arrendersi.

Umberto, dopo aver percorso centinaia di chilometri a piedi, raggiunse Castelvetrano (Sicilia). Pianse per la troppa  gioia. Ma la bufera della guerra non era passata.  Venne inviato  a S. Maria Capua Vetere, poi a Firenze, Banne e Asiago. Abbandonò ogni cosa e tentò la via del ritorno. Raggiunse Padova, e, per non essere arrestato, s’incamminò verso il litorale adriatico.

Peregrinò per due mesi. Dopo aver percorso a piedi quasi tutta la “Statale adriatica” con i piedi insanguinati, logoro e smilzo, arrivò nei pressi di Punta Penna. S’incamminò verso Vasto, e appena raggiunse la chiesa di San Michele, per poco non venne  fatto prigioniero da un gruppo di soldati tedeschi. Tagliò verso Cupello e poi raggiunse il suo paese natale. Andò in chiesa a pregare San Vitale. Finalmente riabbracciò la moglie, che aveva sposato tramite procura. Mentre lui e sua la moglie stavano nascosti in un sottoscala, all’improvviso, scoppiò una granata. Rimasero uccisi due cavalli.

La guerra terminò. Umberto tornò a fare il lavoro del muratore. Era un momento di crisi.  Partì per la Francia, insieme alla moglie. Maturata negativamente l’esperienza di emigrante,  tornò  in patria, per poi riprendere il  lavoro di muratore.  Il sogno di poter restare nel suo paese, si stava realizzando.  Ebbe dalla moglie: Antonio, Peppino, Flora. Potè finalmente  ritrovare la serenità.

Michele Molino

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