Erano intubati, in condizioni molti gravi, quasi disperate. Ma hanno reagito bene alle terapie e, a poco a poco, il supporto ventilatorio è stato alleggerito fino ad accompagnare il recupero della respirazione in autonomia. Così cinque pazienti affetti da Coronavirus, in età compresa tra 45 e 80 anni, quattro maschi e una femmina, a distanza di poche ore hanno lasciato la Rianimazione a Chieti per proseguire le cure in Pneumologia alcuni e in Malattie Infettive altri.
Una notizia accolta con entusiasmo e che restituisce speranza a tanti malati, poiché il miglioramento dei ricoverati in Terapia intensiva non è mai scontato ed è assai difficile attribuirne il merito a un unico fattore.
«Non abbiamo evidenze scientifiche, fino a questo momento, tali da poter sostenere che un trattamento farmacologico sia risolutivo – va cauto Salvatore Maurizio Maggiore, responsabile della Terapia intensiva di Chieti e direttore della Scuola di specializzazione in Anestesia e Rianimazione dell’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara -. Direi piuttosto che il recupero è dovuto a una combinazione di più fattori, che pure stiamo studiando. Per esempio potrebbe entrare in gioco la predisposizione genetica tale da generare una risposta più equilibrata ai farmaci e permettere all’organismo di reagire in modo diverso, così come hanno più chance i pazienti in condizioni fisiche di partenza migliori e senza patologie di base associate. Anche l’interazione di alcuni farmaci potrebbe intervenire in modo significativo, come, per esempio, l’impiego di anticoagulanti, che potrebbe ridurre il numero di fenomeni trombotici massivi. Nella nostra pratica clinica, dunque, registriamo questa evidenza, ma occorre essere prudenti e non gridare al farmaco miracoloso, perché si generano inevitabilmente grandi aspettative che rischiano di naufragare miseramente. Anche i farmaci del tipo Remdesivir e Tocilizumab in alcuni casi si sono verificati efficaci, ma in altri non abbiamo avuto un epilogo felice, perciò dobbiamo essere estremamente prudenti nell’attribuire a un farmaco capacità risolutive delle quali non risultano evidenze sientifiche. E’ importante, invece, dare il giusto supporto alle varie funzioni degli organi vitali, in modo da consentire all’organismo di reagire al virus nella misura giusta, e in Terapia intensiva ventilare i pazienti per periodi prolungati, anche di tre o quattro settimane, utilizzando tecniche avanzate di rianimazione respiratoria».
Attualmente i pazienti in Terapia intensiva a Chieti sono 13, a conferma della riduzione del numero di casi gravi di Coronavirus anche a Chieti.