Noi italiani siamo un popolo fantastico, appassionato e sanguigno. Siamo sempre pronti a prendere parte a tifoserie e a dividerci tra bene e male, tra buono e cattivo. Dimentichiamo che i problemi non sono mai semplici ma hanno una struttura complessa e multiforme. “I problemi non sono mai “mono” ma sempre “pluri” e “multi”. Essi non si pongono mai decontestualizzati ma sempre inseriti in un contesto al tempo stesso specifico e complesso.” E. Morin
Anche il periodo che stiamo attraversando ha una sua struttura complessa. Sento dibattiti, tra opposte fazioni, tra vere e proprie tifoserie che si contendono le profezie sul dopo coronavirus, su come sarà il post pandemia.
Questo accade anche per la scuola.
Sicuramente non sarà possibile tornare semplicemente al “dove eravamo e come eravamo”, far finta che nulla sia accaduto e si riprenda a vivere, a lavorare, a fare scuola così come dal dopoguerra a ieri abbiamo fatto. Il virus ha rimesso in discussione i precedenti modelli di società, di economia, di politica, di istruzione consegnandoli ai libri di storia. Ancora E. Morin “…v’è complessità quando sono inseparabili le differenti componenti che costituiscono un tutto (…) e quando v’è un tessuto interdipendente, interattivo e inter-retroattivo fra le parti e il tutto e fra il tutto e le parti”. Economia, politica, istruzione, la stessa idea di uomo e di comunità sociale sono parti interdipendenti e connesse fra loro, sono un tutto organico che si condiziona e si relaziona. Non è possibile pensare alla scuola se non in relazione con le diverse parti che compongono l’intero sistema.
Il filosofo Umberto Galimberti riflette così sulla situazione attuale.
“In preda a una nuova solitudine, dovremo fare i conti con una visione più precaria della vita, dove siamo meno immortali. Saremo costretti, infatti, a stare sempre di più con noi stessi e con la nostra famiglia. Finirà l’epoca dell’eccesso, quella degli influencer, perché quando c’è in pericolo la vita, la salute, emergono valori che avevamo rimosso. Potrebbero esserci dei cambiamenti migliorativi: una depurazione dal sovraccarico di superficialità che ha caratterizzato questo secolo e una fortificazione dei legami affettivi. Non credo che saremo più soli, quanto “diversamente soli”. L’umanità ha sempre saputo gestire le difficoltà. Ce lo insegna la storia e i conflitti mondiali che hanno caratterizzato il Novecento. Adesso siamo in una fase di cambiamento epocale. Da circa un secolo, infatti, l’umanità non ha subito cambiamenti significativi e ora si trova ad affrontare qualcosa di epocale. Che prima o poi arrivasse era prevedibile, anche se nessuno poteva immaginare che sarebbe stata un’epidemia a cambiare le nostre vite forse per sempre”.
Ma certamente non partiamo dal nulla.
Proviamo ad immaginare per la scuola cosa potrebbe essere.
Scenario A. Fra qualche mese torneremo ad occupare nuovamente i nostri edifici scolastici, suonerà la campanella della prima ora e mille o forse più alunni entreranno nelle aule e prenderanno posto nei loro banchi. Il professore entra, fa l’appello, spiega girando per i banchi, qualche alunno si perde dietro allo schermo di un cellulare… viene rimproverato “Smettila che ti metto una nota!”. In un’altra classe il Prof. Interroga, in un’altra si sperimenta la flipped, in un’altra si lavora per gruppi. Il Preside è nel suo ufficio. Il bidello sorveglia l’ennesimo ragazzo che il solito Prof. manda in bagno fuori orario. “Che bello! Finalmente siamo tornati alla normalità!”.
Scenario B “Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio”
che verde è come i pascoli dei monti.
G. D’Annunzio
Primo settembre 2020, andiamo. E’ tempo di migrare lontano dalle aule, dalle mura della scuola, dai corridoi, dagli atri delle nostre scuole. Ora i docenti lasciano gli angusti spazi affollati e bui e migrano, definitivamente, verso la didattica a distanza che è innovativa ed efficace come, se non di più, dei pascoli rassicuranti della didattica tradizionale. “Giustizia è fatta! Finalmente la scuola si rinnova e guarda al futuro!”
I due scenari sono viziati dallo stesso errore di fondo. Dimenticano che i problemi sono complessi e non trovano soluzione efficace da visioni manichee ed estremizzanti. Alla scuola, come al nostro tempo, non servono tifoserie didattiche e pedagogiche. Alla scuola serve una visione che sappia cogliere l’opportunità del cambiamento e dell’innovazione all’interno di una storia e di una cultura pedagogica che è fondante rispetto al cambiamento stesso. Il cambiamento non è la tecnologia, o meglio il mero utilizzo della tecnologia, il vero cambiamento è nel metodo, nel modo, nel paradigma costitutivo del fare scuola. Possiamo anche immaginare l’attraversamento del mar Rosso ma senza un lavoro serio di costruzione di una nuova identità pedagogica e culturale non basta l’aver vissuto la transumanza della scuola italiana.
Sicuramente le prospettive organizzative compatibili con la “convivenza col virus” dovranno essere ripensate: gestione e allocazione di spazi, strutturazione dei tempi e degli orari, mobilità degli studenti, gestione dei servizi mensa e dei convitti…
Sono solo alcune delle problematiche cui andremo incontro. Il tutto dovrà essere fatto nel pieno rispetto del diritto allo studio che siamo chiamati a garantire a tutti e ad ognuno.
L’art. 34 della Costituzione recita: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”
Il diritto allo studio dovrà quindi essere garantito organizzando un sistema nuovo e diverso da quello precedente strutturando e validando quanto sperimentato nella fase 1 della scuola con la DaD.
Il diritto allo studio dovrà essere garantito dando a tutti accesso a internet con livelli di connettività e strumenti tecnologici adeguati e funzionali ad una partecipazione “vera” alla formazione offerta.
Il diritto allo studio va garantito con investimenti organici e strutturali non solo sugli aspetti delle dotazioni tecniche e strutturali ma anche attraverso investimenti cospicui sulla funzione e sulla formazione dei docenti. La relazione formativa e trasformativa cammina sulle gambe degli uomini e delle donne di scuola.
L’effetto non può che essere un ripensamento sostanziale dei paradigmi politici e culturali ai quali siamo abituati da decenni. Ripensamento che non significa schierarsi tra scenario A e scenario B ma occorre fare uno sforzo di pensiero progettuale per scrivere un canovaccio di lavoro per uno scenario C. Uno scenario che conservando quanto di meglio le nostre scuole hanno prodotto lo si vada a coniugare con paradigmi nuovi e inesplorati per la scuola italiana.
Scenario C. Settembre 2020. Nelle scuole, nel paese, nei luoghi di confronto ci siamo posti alcune domande. Quali sono le priorità? La formazione è relazione educativa ed in quanto relazione è trasformatrice dell’umano, come coniugare le positività della DaD con l’esigenza di relazionalità? Quali attività non si possono svolgere a distanza? Quali invece, anche a distanza, possono risultare maggiormente efficaci? Come strutturare percorsi idonei per le diverse età, dall’ infanzia alla giovinezza? Ci sono anni, periodi, fasi a cui dobbiamo porre particolare attenzione e riconoscere delle specificità? Come garantire la piena inclusività?
Rispondere a queste domande significa avviarsi a fare un salto nella qualità del dibattito, a significa costruire una visione di scuola nuova in cui si è usciti dalla logica delle tifoserie per impostare un progetto di scuola qualificato e in grado di garantire la sostanziale dimensione di relazionalità umana con le possibilità offerte dalla tecnologia e dal digitale. La dimensione tecnologica non è sufficiente a riempire tutte le sfaccettature dell’esistenza. Una ragazza, quinto anno di chimica, mi diceva: “ Preside è la prima volta che mi sento vista, considerata, non importa cosa dirò o farò, ma ora ci sono e sono vista.” La relazione educativa è mettere in gioco la personalità profonda dell’insegnante, dell’educatore, del formatore, del padre. E questo è profondamente umano, è in quella parte sommersa, di un ipotetico iceberg, dove risiede la parte emozionale del processo di apprendimento. Per fare questo non occorre schierarsi pro o contro, occorre immaginare e ripensare paradigmi per coniugare al meglio le diverse parti e i diversi aspetti.
Una sorta di terza via per la scuola italiana.
Nino Fuiano