Mi sono chiesto come mai tanta gente abbia richiesto di salire sul nostro campanile di Santa Maria Maggiore. Mi sono chiesto come avremmo mai potuto accontentare le circa mille richieste arrivateci per la visita a questo Monumento; nei quattro giorni di visita abbiamo potuto accompagnare più di 350 persone e qualcuno degli iscritti sta recuperando in queste ore la salita… ma tutto questo è affascinante e mi costringe a pensare. Ogni visita è stata preparata dai giovani volontari del FAI (che ringrazio per la passione e la competenza) che in chiesa introducevano al campanile facendo cogliere le trasformazioni che la struttura ha subito nei secoli dal 1331 al 1714, data della chiusura del parapetto a quaranta metri di altezza. Come parroco mi sono subito chiesto che senso avesse guidare un gruppo e mi sono dato questa risposta: per tentare un’elevazione spirituale e un annuncio di Vangelo perché, a mio giudizio, il percorso storico ed architettonico della salita si presta molto bene ad una esperienza del genere.
In tutto questo, ho percepito che gli iscritti avevano desiderio di salire per scoprire uno sguardo dall’alto sulla realtà, uno sguardo “altro” sul quotidiano; tutto questo esprime l’autotrascendenza dell’uomo, la volontà di andare oltre se stesso e di non accontentarsi di una lettura banale o mediocre della realtà. Ogni visitatore anche senza saperlo portava in sé l’anelito di un orizzonte diverso, di una lettura di insieme della realtà: il mio accompagnamento non faceva altro che ricordare che una tale spinta ad elevare lo sguardo l’ha impressa Dio nel nostro DNA spirituale. Ho colto molto interesse da parte dei giovani così attratti dal monumento, dalla storia della sua progressiva realizzazione, delle continue modifiche e soprattutto del suo significato simbolico. Il campanile è, infatti, un punto di riferimento per una città, richiama un “indice” puntato verso il cielo, ospita le campane che non solo richiamano i fedeli nei momenti belli o brutti della storia ma segnano l’inesorabile scorrere del tempo: il campanile, con tutto ciò che rappresenta, è un richiamo ad impiegare bene l’oggi nella consapevolezza che ogni momento è visitato dalla Grazia e, in modo speciale, quei momenti della preghiera di un popolo.
Ho potuto apprezzare il forte livello di attenzione delle persone e mai avrei potuto immaginare di incontrare tanti turisti e vastesi a cui indicare il cielo, l’orizzonte di Dio. A tutti ho potuto ricordare che la stessa conformazione del campanile, i suoi passaggi angusti e le sue strettoie ricordano che per salire in alto bisogna farsi piccoli, abbassare il capo: si sale spiritualmente solo se si impara l’umiltà. La cosa più bella, in fondo, non è arrivare sulla terrazza panoramica ma lo stesso cammino che si compie insieme, nella scoperta delle mura che rivelano il passaggio dei nostri padri e la passione per il bello. Dalle centinaia di persone incontrate ho raccolto diversi commenti entusiastici da quei quaranta metri di quota, quasi a sottolineare che la Città risulta più bella vista dall’alto. A volte basta poco… soli quaranta metri per vedere tutto diversamente. Tutto questo aiuta a sottolineare che anche noi, visti “dall’Alto”, siamo più belli di quello che pensiamo: dalla prospettiva di Dio tutto assume senso e – nell’insieme della nostra storia – tutto può risultare prezioso, nulla andrà perduto. Con la fede-fiducia in Lui tutto può servire per ritrovare senso. Anche questa salita al campanile può diventare una occasione, quindi, per risvegliare in noi quella ricerca del Volto di Dio che non smette di corteggiarci e di ricordare che siamo fatti per il cielo, quel cielo che in Gesù ha visitato la terra.
Don Domenico Spagnoli