«Accettare l’inferno e diventarne parte, fino al punto di non vederlo più»: è questo il modo imbelle di vivere la contemporaneità secondo la denuncia di Italo Calvino nelle «Città invisibili» (1972). Ma la domanda è: perché non riusciamo a vedere l’inferno se tutto intorno a noi brucia? Qualche giorno fa l’incendio di Vasto Marina, e oggi quello di Punta Penna. Il che vuol dire: se non riusciamo a vederli, evidentemente non riusciamo nemmeno a pre-vederli? E per quale motivo: forse perché in assenza di acqua potabile, come sta accadendo in questi giorni, la sete impedisce di guardare con occhi attenti la realtà? A tutte queste domande non so rispondere. So solo che, malgrado l’impegno di forze dell’ordine e protezione civile, non si riesce a frenare la mano delittuosa (tutta da scoprire) di eventuali piromani (difficile pensare – anche se possibile – a un atto di autocombustione. Saranno le indagini a accertare le responsabilità). Un’intera falesia distrutta con tutta la sua vegetazione e con il pericolo per le vite umane. È bene ricordare che, proprio in quell’area – segnatamente, nel sito archeologico di Colle Martino – è posto un parco serbatoi di acido solforico e fosforico con una capacità di circa 4mila metri cubi, pari a circa 8mila tonnellate. Non oso pensare che cosa sarebbe potuto accadere se l’incendio avesse interessato questi depositi.
Le indagini sono all’inizio. Ma nel caso di responsabilità individuali inviterò i cittadini a costituirsi parte civile nei confronti degli eventuali autori.
Luigi Murolo