I più anziani del paese ricordano sicuramente Alfredo Di Carlo, un uomo un po’ strano e che non stava mai fermo, perciò i compagni gli affibbiarono il soprannome di Sveldìne (Sveltino). La famiglia viveva in condizioni di estrema povertà. Suo padre era sempre ammalato; sua mamma tirava avanti la famiglia con i piccoli introiti che ricavava lavando i capi a mano nelle famiglie agiate. Alfredo non volle saperne di andare a scuola, così poteva passare le giornate raccogliendo le schegge delle granate, che successivamente si rivendeva. Appena adolescente si mise a cercare lavoro.
Fu assunto dall’ impresa Ialacci di San Salvo come manovale (mannebbile). Lavorava scalzo anche sulla neve. Un giorno riuscì a portare a spalla una cinquantina di blocchi di pietre di tufo su una scala a pioli, fino a raggiungere i livelli più alti dell’ impalcatura. Verso i 18 anni s’innamorò del pallone. Non per niente, il presidente della “Tenax” di San Salvo, Tonino Longhi, lo volle nella sua squadra. In difesa era un baluardo insormontabile.
Giocava a piedi nudi sulle spine dei rovi; i piedi erano diventati insensibili al dolore. In un violento scontro di gioco, il giocatore della squadra avversaria rimase a terra per un dolore lancinante ai piedi; le scarpe ridotte a pezzi, mentre Alfredo si rialzò più scattante di prima. Quando decise di cambiare mestiere lo fece come scaricatore di grano nella ditta Oreste Sabatini. Espatriò in Australia. Ritornò a San Salvo per avviare l’ attività in proprio come impermeabilizzatore di solai. I Salvanesi gli volevano un gran bene. Ad un certo punto lasciò qualsiasi attività e si mise alla ricerca di un lavoro poco impegnativo… La vita di “Sveldìne” è stata molto movimentata.
Michele Molino