Vasellame, laterizi, cocci e mattoni d’epoca tra le zolle del terreno arato. Ma anche teschi ed ossa che riaffiorano dal costone e che sono testimonianza della epidemia di peste petecchiale che colpì la città nel 1817. Capita di imbattersi anche in importanti reperti storici passeggiando nella riserva naturale di Punta Aderci, che oltre ad avere una grande valenza ambientale e paesaggistica, annovera anche un interessante sito archeologico. Ed è proprio per far conoscere “i segreti” di quest’area protetta che il Forum civico ecologista ha organizzato domenica una passeggiata archeologica. A condurre il numeroso gruppo è stato Alessandro Cianci, studioso ed appassionato di storia locale.
“Il sito archeologico di Punta Aderci restituisce in continuazione, soprattutto dopo le arature, dei resti che andrebbero studiati e approfonditi, ma che verosimilmente, sono di epoca frentana, romana e medioevale”, spiega Cianci, “sono tantissime le testimonianze che si possono trovare. Sarebbe quindi opportuno da parte delle autorità innanzitutto tutelare quello che c’è ed affiora e che non deve essere asportato o danneggiato. Sarebbe anche auspicabile finanziare degli scavi per capire quante altre storie ci racconta il promontorio di Punta Aderci”.
Vasellame, cocci, mattoni, ma anche resti umani. Non è difficile imbattersi in teschi ed ossa che riaffiorano dal costone a rischio crollo dove durante l’estate migliaia di persone si sono radunate in occasione del “Sax on the beach”. Sono i resti di quei vastesi che nel 1817 morirono a causa della grande epidemia di peste petecchiale.
“Ci vorrebbe una indagine seria per stabilire l’effettiva presenza”, aggiunge Cianci, “però sono tantissime le costole e i teschi presenti. Sono i resti dei nostri avi, che meriterebbero cura e compassione umana oltre che il conforto della scienza. Le autorità dovrebbero tutelare questi luoghi che non sono certo adatti per le feste o per fare turismo senza rispettare queste testimonianze storiche”.
Anna Bontempo (Il Centro)