Un ricordo di Pino Jubatti

Arte, comunicazione, dialetto, cucina. Le quattro vie di «vastesità» seguite da Pino Jubatti nel suo percorso di vita. Nulla che non fosse incentrato sulla sua città. Con qualche nume tutelare? Certo: Luigi Anelli e Orio Vergani. E con la penna – aggiungo – sempre rivolta contro chi, in qualche misura, osasse avanzare un benché minimo appunto nei confronti della loro auctoritas. Per la «vastesità» nel suo complesso, Anelli; per la prospettiva culturale gastronomica, la lezione di Orio Vergani e dell’«Accademia Italiana della cucina» da lui acquisita nel periodo vissuto a Milano. Dal punto di vista editoriale, il suo modello – rivisitato in vari modi – restava sempre quello della «Civiltà della Tavola», la rivista dell’associazione di cui era stato partecipe fin dalla fondazione.

Orientamenti molto definiti, i suoi. Che si riverberavano nelle polemiche da lui sostenute, nettamente distinte dalle caricature dei personaggi vastesi del suo tempo che attingevano suggerimenti dagliUsi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti(1853), per la metà realizzati da Filippo Palizzi, senza dimenticare le Macchiette Vastesi che, sui componimenti poetici dialettali di Luigi Anelli, avevano trovato il musicista Alfredo Anelli pronto alla realizzazione di xilografie caricaturali.

Vastesi, dunque! Sempre, vastesi!

In un mio libro vecchio di una ventina d’anni avevo accennato a un aspetto della produzione culturale di Pino Jubatti a proposito del suo periodo radiofonico: la straordinaria raccolta di voci dialettali collezionate dal suo conduttore. In quell’occasione avevo parlato della realizzazione involontaria di una sorta di «Museo della voce», pensabile solo ex post. Qualcosa di assolutamente fondamentale per la dialettologia contemporanea. Anzi, mi rivolgo ai suoi familiari perché quel patrimonio immateriale custodito su nastri venga reso disponibile agli studiosi.

Mentre scrivo queste poche parole, penso a Pino scomparso in solitudine in una sala d’ospedale, forzatamente lontano dagli affetti familiari, nel giorno successivo al suo compleanno senza aver potuto rileggere per l’ultima volta le Macchiette vastesi, la folla festante dei suoi popolani, le caricature cui era legato. Pensando, magari, nel viaggio che tocca a tutti, agli ultimi due versi di un sonetto dell’altro poeta dialettale vastese dell’Ottocento, Gaetano Murolo, che profeticamente recitano:

«… la vita ‘mbamanoštraaddo’firnёsce?

Forze a nu pёzze di Štabbilimènde

La traduzione è la seguente: «…la vita infame nostra dove finisce? / forse in un cantuccio dell’ospedale!»

Già! Caro Pino. Le cose sono andate in questo modo. Ma tu sei forte e polemico. Non ti arrendi facilmente. Anzi, nella tua carissima lèngahuaštaréule, con il sarcasmo e l’orgoglio dei suoi antichi abitatori, potrai dire a te stesso due versi che amavi moltissimo: «… si di štupaiase/ che ppur’a la Morte da la frîšte!». Cioè: «sei di questo paese che prende in giro anche la morte».

Addio, amico mio. E come dicevano i latini: sittibi terra leuis.

Luigi Murolo

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