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Il dittatore nel pallone: il calcio come strumento di propaganda

Il Novecento è passato alla storia per essere stato il secolo dei totalitarismi, ma anche per essere stato il secolo del calcio, dato che proprio in quest’epoca tale sport si è diffuso in tutto il mondo ed ha acquistato grande popolarità. Quindi è del tutto normale che idittatori di molti paesi abbiano voluto sfruttare la fama del gioco del palloneper aumentare il  loro consenso popolare e per far propaganda politica.

Cosa che si andò amplificando quando vennero istituiti i campionati mondiali della FIFA (1930): ogni nazione, sia democratica che sotto regime dittatoriale, avrebbe voluto organizzare ed ospitare tale competizione, per cercare di esaltare il proprio paese, mostrandone, al resto del globo, l’efficienza e l’organizzazione; inoltre incaso di vittoria della selezione del paese organizzatore, il governo di quest’ultimo avrebbe ottenuto un enorme successo mediatico e politico. Nel 1934 Benito Mussolini riuscì ad ottenere l’incarico dalla FIFA di ospitare la competizione, che manipolò al fine di far trionfare la propria squadra. Infatti l’Italia vinse grazie ad un arbitraggio estremamente di parte.

In questo modo gli azzurri“consacrarono” la propria patria ed il regime fascista, la cui immagine uscì da questo torneo fortemente rafforzata, sia all’estero che entro i confini nazionali. Il successo dei mondiali italiani ispirò altri dittatori, che cercarono di imitare Mussolini: un esempio su tutti fu GetúlioVargas, dittatore del Brasile dal 1937 al 1945, a cui venne l’idea di candidare il suo paese per ospitare l’edizione del 1942.

Ma a causa del secondo conflitto mondiale la Coppa del Mondo di quell’anno non si disputò mai, perciò il governo brasiliano dovette attendere il 1950 prima di poter organizzare la suddetta manifestazione sportiva. Nel frattempoVargas fu deposto e rimpiazzato da una giunta militare, che però come prima cosa scelse di “rubare” la sua idea di manipolare la Coppa Rimet, nome con cui allora era conosciuto il mondiale di calcio, e usarla a proprio vantaggio.Il piano fu quello di fissare strategicamente le elezioni politiche dopo il torneo, che,secondo le previsioni della giunta, la “Seleçao” avrebbe vinto facilmente.

In questo modo il governo avrebbe potuto legittimarsi al potere con un voto popolare certamente influenzato dall’onda emozionale che la vittoria sportiva avrebbe scatenato. Tutto era stato organizzato finnei minimi particolari: ad esempio le partite del Brasile iniziavano intenzionalmente un quarto d’ora dopo rispetto alle altre,cosicché i giocatori potessero sapere in anticipo il risultato delle avversarie; inoltre i giornali, le radio e i cinematografi non facevano altro che esaltare le imprese sportive degli undici “Verdeoro”, inculcando nella mente dei cittadini la certezza del loro trionfo.

Si pensi infatti che la mattina stessa della finale i titoli dei quotidiani riportavano la notizia della schiacciante vittoria del Brasile, anche se mancavano ancora diverse ore all’inizio della partita. Tutto questo però finì per “rivoltarsi” contro gli organizzatori.Infatti il Brasile perse la finale contro l’Uruguay per 2 a 1, un evento che fu soprannominato “Maracanazo” e che ancora oggi viene ricordatocome una delle più grandi tragedie della storia del paese sudamericano in quanto costò la vita, tra infarti e suicidi, a 80 persone (34 suicidi e 56 arresti cardiaci) .

Per tale motivo la fiducia popolare nella giunta militare crollò completamente e le elezioni, che avrebbero dovuto consolidare il suo potere, per ironia della sorte finirono per essere vinte dallo stesso Getúlio Vargas, che ottenne la legittimazione del popolo e tornò a governare il paese fino al 1954.

Nonostante la Coppa Rimet del 1950 si dimostrò un fallimento politico per la giunta brasiliana, i mondiali di calcio continuavano ad essere considerati una grande opportunità per fare propaganda politica. Nel 1964 la Coppa del Mondo che si sarebbe disputata nel 1978 venne assegnata all’Argentina, che l’attendeva dal 1930. Ma nel 1976 una giunta militare, guidata dal tenente generale Jorge Rafael Videla, prese il potere con la forza, instaurando una terribile dittatura; naturalmente, come era stato per Brasile ‘50, anche in questo caso la giunta militare prese il controllo dell’organizzazione del mondiale per pilotare lo svolgimento della gara.

Furono tante le richieste e le proteste mosse alla FIFA per togliere il mondiale al governo argentino, per via delle lugubri notizie che giravano riguardo la situazione nel paese, ma questa rimase ferma nella sua decisione di svolgere ugualmente il torneo in terra d’Argentina. Bisogna, infatti, ricordare che quegli erano gli anni dei cosiddetti “desaparecidos” (letteralmente “scomparsi” in spagnolo e portoghese), ovvero persone di cui si perse ogni traccia a seguito di arresti dovuti a motivi politici o per presunte azioni anti-governative.

Inoltre il regime di Videla aveva intrapreso anche la “Guerra sucia” (“Guerra sporca”), cioè un programma di repressione violenta, atto a distruggere l’opposizione politica e la resistenza “sovversiva” dei gruppi marxisti e peronisti, attivi sin dagli inizi del decennio.  Nonostante tutte queste atrocità la Coppa del Mondo 1978 si tenne ugualmente e iniziò ufficialmente il 1° giugno. Da un punto di vista sportivo e dello spettacolo questo fu un ottimo mondiale, che vide, tra le altre cose, l’esordio nella competizione del francese Michel Platini, la nascita della nazionale italiana di Enzo Bearzot, che quattro anni più tardi avrebbe fatto urlare di gioia i tifosi azzurri, e la spettacolare Olanda, che, nonostante l’assenza del suo giocatore simbolo Johan Cruijff, regalò a tutto il pubblico del mondo grandi emozioni.

Però, ciò che causò molti clamori e proteste fu il percorso dell’ “Albiceleste”, che, pur disputando belle gare, si rese protagonista di alcuni episodi controversi. Nella seconda fase a gironi (all’epoca non era prevista l’eliminazione diretta), la squadra di casa si ritrovò ad affrontare, nelle prime due partite, Polonia e Brasile, ottenendo una vittoria per 2 a 0 con la prima e un pareggio a reti bianche con la seconda. Quindi per poter guadagnare il primo posto nel girone e la conseguente qualificazione alla finale, l’Argentina avrebbe dovuto sconfiggere, nell’ultimo incontro, il Perù con almeno quattro goal di scarto, superando così nella differenza reti i “Verdeoro”.

La partita fu caratterizzata ancor prima del suo inizio da episodi incresciosi e sospetti. Si racconta, infatti, che sarebbero giunte pressioni ai giocatori peruviani da parte degli argentini; inoltre si è scritto di finanziamenti erogati al Perù dall’Argentina e di stretti legami del presidente peruviano con la giunta militare di Videla.

Come se non bastasse, il giorno della gara l’autobus della “Blanquirroja” (“Biancorossa”, soprannome della nazionale peruviana) impiegò due ore per coprire il tragitto fino allo stadio, che  in teoria si dovrebbe percorrere in un quarto d’ora. Che in questo lasso di tempo i giocatori si siano accordati con qualche rappresentante della federazione argentina? La verità, probabilmente, non verrà mai rivelata.A ogni modo la partita, giocata in un clima incandescente, terminò 6 a 0 per gli argentini: successivamente i brasiliani soprannominarono l’accaduto “marmeladaperuana” (“marmellata peruviana”), ad indicare che, secondo loro,  le due suddette compagini si erano messe d’accordo per eliminarli. Infatti proprio a discapito della “Seleçao”, l’Argentinaconquistò l’accesso alla finale. Qualche giorno più tardi, nell’ultimo match, l’ “Albiceleste” sconfisse anche gli olandesi, per 3 a 1, vincendo il primo titolo mondiale della sua storia davanti al proprio pubblico e sotto lo sguardo vigile e “gongolante” della giunta. Infatti quest’ultima aveva ottenuto quello che voleva: un grande successo sportivo e mediatico che, dal suo punto di vista, aveva reso pienamente legittimo il proprio governo.

Ma la “festa” per i militari argentini durò poco, poiché nel 1983, a soli 5 anni dal suddetto trionfo calcistico, furono costretti ad abbandonare il potere, a seguito della sconfitta contro i britannici nella “guerra delle Falkland” (1982), a favore di un governo democraticamente eletto.

Cesare Vicoli

 

 

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