Nel corso dei decenni il pubblico italiano ha potuto godere della visione di film e serie televisive, provenienti da ogni angolo del mondo. Il cinema francese, i colossal di Hollywood, gli sceneggiati britannici, gli anime giapponesi e tantissime altre opere sono giunte e giungono nel Belpaese per essere guardate da milioni di spettatori, che possono “gustarsele” appieno grazie alla straordinaria arte del doppiaggio. Infatti il grandissimo lavoro dei dialoghisti e dei doppiatori ha reso possibile a generazioni di italiani la visione e la comprensione di un enorme numero di capolavori cinematografici e televisivi. La seguente vuole essere la prima di una serie di interviste, dedicate e rivolte ai protagonisti di questa affascinante e fondamentale arte. L’ “ospite” di quest’oggi è la talentuosissima Elisabetta Spinelli, la cui voce ha caratterizzato decine di attrici e personaggi a dir poco iconici. Attraverso quest’intervista telefonica, Elisabetta ha voluto raccontarci parte della sua lunga carriera.
Com’è approdata al mondo del doppiaggio?
È cominciato tutto per caso! Inizialmente volevo dedicarmi esclusivamente al mondo del Teatro e non mi era mai sfiorata l’idea di voler fare altro. Un giorno, però, durante una prova per uno spettacolo, un mio collega mi chiese di accompagnarlo ad un provino di doppiaggio. Incuriosita, accettai. Una volta lì, mi domandarono se avessi voglia di fare un provino anche io. Ci provai. Da quel momento non ho più smesso di doppiare! Per un po’ di anni feci coesistere il teatro con la mia nuova carriera. Ma successivamente decisi di continuare soltanto con il doppiaggio. Infatti, soprattutto dopo la nascita dei miei figli, avevo bisogno di un lavoro che mi consentisse di poter rimanere nella mia città, Milano, e di avere una maggiore sicurezza economica. Ma il Teatro è rimasto sempre nel mio cuore.
Fra tutte le attrici che ha doppiato sul grande schermo, quella che forse maggiormente si ricorda è Reese Witherspoon. A quest’ultima ha “prestato” la voce nel film “Quando l’amore brucia l’anima – Walk the Line” del 2006, con il quale la statunitense vinse l’Oscar come migliore attrice protagonista. Cosa ricorda di questa esperienza?
È stata un’esperienza davvero fantastica! Anche se non mi sarei mai aspettata di partecipare a quel lavoro, perché la “Cast Doppiaggio”, la società che si occupava del doppiaggio e dall’adattamento del film, era di Roma, mentre io vivevo e lavoravo a Milano, come del resto anche oggi. Infatti anni fa era molto difficile che una doppiatrice milanese venisse scelta per un doppiaggio “romano”, poiché in questo campo c’era una rivalità molto accesa fra le due città. Fu, però, la stessa “Cast” a chiamarmi perché la “Fox”, che era la casa di produzione della pellicola, stava cercando una voce che avesse lo stesso timbro di quella della Witherspoon, e fino a quel momento non era ancora riuscita a trovarla. Così andai a Roma per fare il provino e con grandissima sorpresa e gioia riuscì a vincerlo. Durante le registrazioni mi trovai davvero benissimo e tutt’ora conservo stupendi ricordi. Ebbi l’immensa fortuna di recitare sotto la direzione di Luca Dal Fabbro, che fece un lavoro eccezionale: riuscì a farmi a sentire completamente a mio agio, consentendomi di entrare ancora più in sintonia con la parte. Inoltre doppiai assieme ad un collega di grandissimo talento ed enorme esperienza quale Fabio Boccanera, che in quell’occasione doppiò Joaquin Phoenix, protagonista maschile dell’opera. In seguito, quando ho saputo del trionfo agli Oscar di Reese Witherspoon ne sono stata entusiasta, anche perché mi sono sentita anche io in parte vincitrice. Una specie di “vittoria di riflesso”. Purtroppo però questa è stata l’unica volta che ho prestato la voce alla Witherspoon, dato che non si sono più verificate altre occasioni. Mi dispiace moltissimo, perché è un’attrice che mi piace tanto e che avrei voluto continuare a doppiare.
Nel corso della sua carriera ha avuto mai occasione di incontrare una delle attrici che ha doppiato?
Mai purtroppo. Anche se è capitato che qualcuna di loro mi inviasse dei bigliettini d’auguri per Natale. Questo grazie ad alcune colleghe che hanno avuto occasione di visitare qualche set negli Stati Uniti. Comunque mi piacerebbe molto conoscere dal vivo almeno un’attrice a cui ho prestato la voce.
Il suo nome e la sua voce sono legati al mondo dell’animazione. In modo particolare “Sailor Moon” è stata una delle serie più celebri in cui ha lavorato. Cosa può raccontare a tal proposito?
Fin dai primi momenti, mi resi conto che Bunny, protagonista della serie, aveva qualcosa di diverso rispetto agli altri personaggi dei cartoni animati. Era molto autoironica e, nonostante fosse una quattordicenne, mostrava chiaramente la sua fragilità e tutti i suoi sentimenti, dalla vergogna all’amore, che a quell’età generalmente le ragazze cercano di nascondere. Ciò la rendeva alquanto difficile da doppiare, ma allo stesso modo molto intrigante. Per questo motivo quando ottenni la parte ero convinta che mi sarei divertita nell’interpretarla. E così è stato. Quello che però non potevo immaginare che questo anime potesse avere un così grande seguito. Mi ricordo infatti che nella sede della società di doppiaggio arrivavano di continuo tantissime lettere di ammiratori e ammiratrici. Insomma fu un successo davvero incredibile!
Un altro noto personaggio a cui ha prestato la sua voce, forse uno dei suoi più longevi, è Chichi, dall’amatissimo anime “Dragon Ball”.
Sì. “Dragon Ball” mi colpì moltissimo poiché mostrava molta violenza esplicita, che all’epoca non era solita vedersi nei cartoni occidentali. Anche in questo caso percepii che la particolarità della serie avrebbe toccato il pubblico, ma ugualmente rimasi sorpresa dal successo che riscosse. Infatti è divenuta un fenomeno culturale. Il divertentissimo personaggio di Chichi, tra l’altro, lo “ottenni” senza fare alcun provino, perché il direttore del doppiaggio, nonché voce di Goku, Paolo Torrisi, voleva che la doppiassi io.
A proposito di anime. Voi doppiatori riuscite a cogliere le emozioni espresse dagli attori giapponesi nella versione originale, nonostante la grande complessità della lingua nipponica?
Sì perché i giapponesi sono molti “espliciti” nella loro recitazione. Riescono, quindi, perfettamente a trasmettere le loro emozioni, anche solo attraverso la propria voce.
Lasciando il mondo dell’animazione, lei ha anche doppiato l’attrice Alyson Hannigan nella parte di Lily, nella sitcom di successo “How i met your mother”. Com’è stata questa esperienza?
Bellissima! Un giorno il direttore del doppiaggio della serie mi chiamò, dicendomi che era disperato perché aveva fatto fare tantissimi provini ad altrettante attrici per questo personaggio, ma il cliente non era mai soddisfatto. Dunque mi chiese di provare a sostenere l’audizione, io accettai e fortunatamente il cliente fu entusiasta della mia interpretazione. Così mi scelsero ed iniziai a doppiare Lily. Devo dire che mi sono divertita tantissimo: è una serie davvero esilarante! Anche se bisogna ammettere che all’inizio non ebbe il successo sperato, almeno qui in Italia. Probabilmente perché in un primo momento gli adattatori avevano scelto un titolo non molto accattivante: “…e alla fine arriva mamma!” Un annetto dopo, più o meno, però esplose improvvisamente e ancora oggi è considerata una serie cult.
Qual è stato il ruolo, fra tutti, che ricorda maggiormente con affetto?
È una domanda difficile. Ogni personaggio che ho doppiato è stato importante per me. Ciascuno mi ha lasciato qualcosa, che tutt’oggi porto dentro di me. Naturalmente questo vale sia per i ruoli animati che per le attrici “in carne e ossa”.
A tal proposito, ritiene sia più difficoltoso doppiare i cartoni animati o i film e le serie “dal vivo”?
Il doppiaggio è sempre un’arte complessa: sia che si lavori su un prodotto d’animazione che su uno in “live action”. Per quanto riguarda i cartoni o gli anime, c’è bisogno di un sforzo maggiore, perché non vedendo le espressioni degli attori si deve cercare di reinterpretarle un po’ “alla cieca”, basandosi esclusivamente sulle voci. Mentre quando si doppia una persona vera è necessario cercare di essere il più delicati possibile, per evitare di travisare le sue intenzioni recitative, chiaramente espresse nella versione originale.
Da qualche anno ha iniziato a fare anche la direttrice di doppiaggio. Come si trova in questa veste?
Per essere sincera preferisco doppiare che dirigere. La direzione del doppiaggio, infatti, è un ruolo molto delicato che richiede tantissima concentrazione ed attenzione: un vero e proprio lavoro di regia. Bisogna assegnare a ciascun personaggio la “giusta” voce, guidare i doppiatori nelle varie fasi del doppiaggio, curare nel miglior modo possibile l’edizione italiana dell’opera e tanto altro. Inoltre è necessario doversi confrontare, quasi in continuazione, con il cliente e cercare di soddisfare al meglio le sue richieste. Quindi è una professione davvero complessa. Ma in ogni caso sono contenta di aver intrapreso questa sfida, perché mi consente di mettermi sempre alla prova.
Prima di chiudere, quali sono i suoi progetti per l’immediato futuro?
Qualche anno fa ho finalmente ripreso a fare teatro. Di recente ho interpretato “Tosca e altre due”, spettacolo realizzato per celebrare i cento anni dalla nascita di Franca Valeri, che però purtroppo è stato bloccato a causa del Covid. Soltanto a fine 2020 il Teatro Spazio No’hma di Milano è riuscito a mandarlo in streaming in tutto il mondo. Quindi spero che presto si potrà ricominciare appieno l’attività teatrale, perché non vedo l’ora di poter mettere in scene altre opere!
Cesare Vicoli