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I pezzetti di ghiaccio raccolti da terra avevano un sapore speciale

Nei tempi andati, le principali feste religiose erano dedicate a San Vitale,  San Rocco e  San Vito;  culminavano con solenni processioni, concerti lirici, fuochi d’artificio. Non mancavano le  nocciole, i lupini  in salamoia, i semi di zucca, le carrube (suscéll), lo zucchero filato, la porchetta adagiata sul bancone, la riffa (la rreff) , il tiro a segno, il gioco delle tre carte,  il tiro con la fune,  le corse con gli  asini, rane ed uova.

Girava tra  i festaioli, una donna con un pappagallo, che estraeva il pianeta della fortuna. Da Casalbordino  arrivava zà Mariannene (Mariannina) una donna alta e robusta;  fu lei a far assaporare il primo gelato ai Salvanesi;  frantumava con un martello, i grossi blocchi di ghiaccio che la ditta “Perrozzi” le portava da Vasto.

Tutt’intorno un nugolo vociante di ragazzi si tuffava  a terra per raccogliere le scaglie cadute dal tritatutto.  Zà Mariannene   lasciava correre,  per  farsi aiutare a girare la pesante manovella.

Il gelato aveva una  consistenza molto  acquosa. I gusti erano due:  crema al latte  e  crema al “cioccolato”  (cacao). Vendeva  i coni  da 5 lire per i bambini e da 10 lire per le persone adulte.  Zà Mariannene  per attrarre la gente,  urlava ad alta voce: ”Gelàtti gelàtti, crem’e ciccolàtti!”. (Gelati! Gelati! Alla crema e al cioccolato!). Poche persone potevano permettersi di acquistarli. I quattrini  non ce n’erano (‘ngì stave na limmell’).  In quei tempi,  i piccoli frammenti di ghiaccio, avevano un sapore speciale.

Michele Molino

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