Una città è sempre molto «riservata». Nasconde i suoi segreti nelle superfici dei muri o nelle profondità delle sue antiche abitazioni. Si apre con discrezione e sobrietà verso chi, girando in tondo nella notte, si sforza di mostrare il piccolo mondo di cui parla, mosso e consumato dal fuoco della conoscenza.
Già! Proviamo a considerare per un attimo quel celebre palindromo latino attribuito a Virgilio che recita testualmente: «in girum imus nocte ecce et consumimur igni». Se proviamo a leggere quel pentametro al contrario (vale a dire, da destra a sinistra) si ottiene lo stesso risultato «in gi/rum imus noc /ecce /et con/sumi/mur ig/ni». E se, traducendolo in italiano, esso significa «giriamo in tondo nella notte ed ecco veniamo consumati dal fuoco», ciò significa che non solo il visitatore, ma la stessa guida deve essere consumata dal fuoco della conoscenza. Solo chi studia le cose, può trasmettere con la stessa passione i risultati ottenuti.
Del resto, dire che i «muri parlano» significa avere interrogato la città nel suo insieme. Perché solo chi ne ha studiato i dislivelli (gli altimetri dei cellulari sono di grande precisione nel posizionamento in GPS) è in grado di rispondere alle domande cruciali. Una visita funziona solo se il visitatore attento sa porre l’interrogativo inquietante. Ad esempio, solo il caro Marco Rapino (oggi non più tra noi) avrebbe potuto rispondere alle domande sull’acquedotto di Histonium, essendo stato l’unico speleoarcheologo a percorrerne alcuni tratti da quel lontano 1819, anno del suo restauro. Una mostra recentemente organizzata da «Italia Nostra del Vastese» è l’unica che, raccogliendo le osservazioni sul campo dello studioso scomparso, è in grado di documentare l’argomento. Chi guida ha il dovere di ricordare da chi sono state prodotte le informazioni esibite e se, eventualmente, esistono ipotesi esplicative discordanti. Diversamente si ha solo il trionfo della chiacchiera, in cui ognuno è libero di dire ciò che vuole.
E poi che cosa dire della «Pro Loco Città del Vasto» che, dell’invisibile per eccellenza – l’Archivio – ha prodotto qualcosa di unico? Riportare all’attenzione dei cittadini la straordinaria ricchezza degli antichi materiali cartacei e pergamenacei che, con mostre ad hoc, hanno reso comprensibile il presente della città persino nella storia dell’alimentazione e dello stesso dialetto. Un patrimonio quasi sempre ignorato ma che oggi, grazie a questa attività conoscitiva, ha aperto percorsi culturali e di ricerca fino a qualche tempo fa davvero impensabili.
E per ultima, solo in ordine temporale, l’opera divulgativa della «Società Operaia di Mutuo Soccorso» di Vasto, che grazie, al suo attuale Presidente, Anna Rita Pietrocola, ha voluto avviare un discorso «didattico» sui luoghi «velati» della città. Non solo perché privati. Ma anche per essere in profondità nel proprio «sussistere». Con un punto di vista che ho avuto il piacere di discutere con Lei: l’«invisibile» che spiega il «visibile». Di qui la scoperta dell’accesso all’Orto degli Agostiniani, della dimenticata cappella di S. Anna di ius patronatus dei Mattioli (una famiglia che non ha alcuna relazione con quella del famoso banchiere), della cisterna d’acqua decumana poi fossa di grano, del mosaico policromo localizzato nell’antico palazzo Muzii, un’antica famiglia vastese oggi estinta soprannominata Baldò. Senza per questo dimenticare il piccolo, ma pregevolissimo, Museo agostiniano della Concattedrale. Insomma, uno scendere e salire le scale che, nel proprio alternarsi, offre fisicamente il senso altalenante della ricerca. Proprio come i resti dell’antico porto di Histonium. Che oggi possono essere visitati sott’acqua, non dimenticando mai che solo il loro visibile sussistere nel nascondimento marino spiega l’invisibilità della presenza sul mare.
Il tempo gioca i suoi dadi nell’eterno gioco di visibile e invisibile. E magari, per tornare allo stracitatissimo Dante dei nostri giorni, potremmo concludere con i vv. 94-96 di Purg. 10:
Colui che mai non vide cosa nova
produsse esto visibile parlare,
novello a noi perché qui non si trova.
Luigi Murolo