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Recensione del film “The suicide squad-missione suicida” di James Gunn

 

Il 5 agosto è uscito in tutte le sale cinematografiche italiane “The Suicide Squad-Missione Suicida” (“The Suicide Squad”), cinecomic statunitense, distribuito dalla “Warner Bross”, e decimo film del cosiddetto “DC Extended Universe” (“DCEU”). Basata sull’omonima serie a fumetti della casa editrice “DC Comics”, la pellicola ha per protagonista un gruppo di ex detenuti con poteri o abilità fuori dal comune, assoldati dal governo statunitense per portare a termine delle operazioni ritenute troppo pericolose per le “persone buone”.

Infatti se dovessero morire dei criminali, nessuno se la prenderebbe. Questo film, in realtà, è il secondo che ha come soggetto il suddetto team di antieroi. Già nel 2016 uscì “Suicide Squad” (senza articolo), nel quale veniva mostrata la nascita di questa squadra. Tale film, pur avendo incassato abbastanza e nonostante disponesse di un gran cast con attori del calibro di Will Smith e Jared Leto, fu massacrato dai critici cinematografici e dai fan, principalmente per la scarsa qualità della trama e per alcune scelte registiche errate.

Per questo motivo la “Warner” decise di cambiare regia e sceneggiatura per il sequel, la cui uscita era prevista per l’estate del 2021. Nel 2019 fu chiamato, come nuovo regista e sceneggiatore, James Gunn, reduce da due grandi successi nel mondo dei cinecomics: “Guardiani della Galassia” del 2014 e “Guardiani della Galassia vol. 2” del 2017, entrambi del “Marvel Cinematic Universe” (“MCU”).

Gunn, una volta all’opera, ha cercato di staccarsi il più possibile dalla precedente pellicola, evitando però la fin troppo semplice strada del reboot. “The Suicide Squad”, dunque, non vuole cancellare tutto ciò che stato visto in “Suicide Squad”, ma semplicemente raccontare una storia diversa. Per questo motivo non si può parlare nemmeno di un sequel nel senso tradizionale del termine: difatti nel film di Gunn non esiste alcun rimando diretto alle vicende della prima pellicola, come invece accade nella maggior parte dei seguiti cinematografici. Gli unici collegamenti presenti fra i due lungometraggi sono l’esistenza della Suicide Squad, come task force governativa segreta degli USA, ed alcuni personaggi, che sono interpretati dagli stessi attori del film del 2016.

Questo dettaglio ci conferma che quanto accaduto in precedenza non è stato cancellato dalla nuova sceneggiatura. Per quanto riguarda invece la trama di “The Suicide Squad”, essa è ambientata nella fittizia isola-stato di Corto Maltese (chiamata così proprio in onore del personaggio dell’omonima serie a fumetti italiana, scritta da Hugo Pratt), che si trova probabilmente nel Mar dei Caraibi. In quest’isola è appena avvenuto un colpo di stato ed il nuovo regime, apertamente antistatunitense, è caduto in possesso di alcune tecnologie extraterresti, talmente pericolose da preoccupare il governo di Washington.

Per tale motivo Amanda Waller (interpretata da Viola Davis), capo della Task Force X, alias Suicide Squad, decide di mandare alcuni dei suoi uomini a distruggere le suddette tecnologie, per salvare così gli Stati Uniti. Come si può intuire leggendola, la trama non contiene nulla di troppo nuovo e ripresenta il classico schema dei film supereroistici, specialmente quelli di gruppo.

La stessa missione, che si trova al centro della narrazione, sa di “già visto” e, almeno apparentemente, si discosta pochissimo dalle varie missioni presenti in altri film simili. Il punto di forza della sceneggiatura di Gunn, però, non è l’originalità della trama, bensì la gestione dei personaggi. I caratteri di questo film, infatti, sono tutti strutturati benissimo ed ognuno di essi ricopre il proprio ruolo all’interno della storia alla perfezione. Inoltre lo sceneggiatore è riuscito sia ad inserire e caratterizzare ottimamente i nuovi personaggi, sia a conferire una “nuova luce” a quelli già presenti nella pellicola del 2016.  A proposito di questo, si pensi ad esempio al colonnello Rick Flag (Joel Kinnaman) che in “Suicide Squad” era completamente oscurato da altri personaggi, come la Waller e Deathshot (Will Smith), finendo per venir ridotto quasi ad una comparsa.

Al contrario, nella pellicola di Gunn questi risulta essere meglio strutturato, con più sfaccettature e più spessore, pur rimanendo di fatto un personaggio secondario. Anche Amanda Waller “rinasce” completamente in “The Suicide Suad”, sebbene già nel primo film fosse stata ben caratterizzata. Ma il personaggio che ha tratto i maggior benefici dalla “terapia Gunn” è stata senza dubbio l’icona di questo brand cinematografico, ovvero la scatenatissima Harley Quinn, impersonata dalla meravigliosa Margot Robbie.

L’ “Arlecchino di Gotham”, grazie al regista statunitense, ha finalmente trovato la sua perfetta identità cinematografica, visto che negli altri due film in cui compare, il summenzionato “Suicide Squad” e “Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn” (“Birds of Prey and the Fantabulous Emancipation of One Harley Quinn”, 2020), il suo potenziale come personaggio non è stato sfruttato appieno. Ad esempio in “Suicide Squad”, Harley è mostrata come una “svampitella” che sbava dietro al suo uomo, Joker. Inoltre viene iper-sessualizzata nella maggior parte delle scene. Tant’è vero che è spesso inquadrata in pose sexy ed indossa sempre un abito succinto, proprio per attirare l’attenzione del pubblico maschile.

Invece in “The Suicide Squad” la sua caratteristica principale, la follia, è finalmente resa alla perfezione. In ogni scena in cui la Quinn appare, difatti, il pubblico può “godere” dei suoi deliri, che provocano in esso allo stesso tempo sia disagio che divertimento, così come deve essere. Per quanto riguarda invece la sessualizzazione del personaggio, essa viene ridotta al minimo: certo Harley rimane attraente, ma solo perché lo è Margot Robbie. Tale sex appeal, però, non viene “amplificato” in alcun modo  dal regista, anzi. Insomma Harley Quinn appare per la prima volta sul grande schermo no come macchietta o come mero “fan service”, ma come un personaggio complesso e definito, con tutte le sue caratteristiche perfettamente evidenziate. Come detto, anche i nuovi personaggi sono stati ben costruiti.

Fra questi spiccano soprattutto Robert DuBois (Idris Elba), alias Bloodsport, e Christopher Smith (John Cena), Peacemaker, che riescono, chi in un modo chi nell’altro, a lasciare il segno sia all’interno della storia che nel pubblico. Un’altra qualità della pellicola è senza dubbio l’umorismo, che la caratterizza fin dall’inizio. Infatti, proprio come in “Guardiani della Galassia”, Gunn ha riempito la sceneggiatura di battute e gag comiche, che riescono alla perfezione a divertire lo spettatore, senza cadere quasi mai nella demenzialità. Bisogna aggiungere, però, che il film ha una forte connotazione “splatter”, che può non piacere a tutti. Sono presenti molte scene davvero crude e cruente, che non risparmiano alla visione i dettagli più macabri e raccapriccianti delle varie uccisioni: da decapitazioni a corpi “spiaccicati”, a uomini mangiati vivi. Ma c’è da dire che questa inclinazione “splatter” si confà allo spirito della Sucide Squad.

Non a caso la prima pellicola era stata molto criticata dai fan del gruppo, proprio perché, a detta loro, c’erano troppi perbenismo e gentilezza in un film con protagonista una squadra di assassini e rapinatori. Difatti anche se i membri della Suicide Squad in fondo sono buoni, rimangono pur sempre criminali, scelti dalla Waller proprio per la loro abilità nell’uccidere e freddezza. Quindi ci si aspetta da loro una certa tendenza all’eliminare fisicamente, magari anche in modo “plateale”, i propri nemici. Invece una critica che si può muovere al lungometraggio di James Gunn è che la trama, come detto, è fin troppo semplice e schematica.

Anche se ciò non significa necessariamente che essa sia scadente, al contrario. Seguire uno schema non è un difetto, tanti capolavori cinematografici lo hanno fatto in passato e non per questo vengono criticati. Per di più, la trama di “The Suicide Squad” contiene qualcosa che non ci si aspetterebbe da un film del genere. Sono presenti vicende e dialoghi che rendono il film, agli occhi più attenti, una sorta di allegoria della “rivoluzione cubana” (1953-1959) e dell’imperialismo statunitense. Comunque sia, a prescindere da ciò, alle eventuali “mancanze” del filone narrativo suppliscono il grande umorismo, la perfetta costruzione dei personaggi, la più che buona regia di Gunn e, naturalmente, l’ottima prestazione attoriale dell’intero cast. In conclusione, “The Suicide Squad” è senza alcun dubbio un bel film, con tanti pregi e qualità, che riescono perfettamente a ridimensionare i suoi pochi difetti.

Cesare Vicoli

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