In occasione del 30° (1992) pubblicammo sul nostro “VastoNotizie” due interessanti ricordi dei proff. Giulia Maiella Pastorelli e Edoardo Suriani, con una introduzione di Giuseppe Di Fabio ex allievo. Sono testimonianze ricche di dettagli che fanno rivivere l’atmosfera di quegli anni riportando a galla episodi ormai dimenticati.
OGGI, PROPRIO IN OCCASIONE DEL 60°, RIPROPONIAMO QUESTE PAGINE COME NOSTRO CONTRIBUTO ALLA GLORIOSA “STORIA” DEL MATTEI.
Da Vastonotizie di Nicola D’Adamo settembre 1992
L’ITIS E. MATTEI COMPIE 30 ANNI
di Giuseppe Di Fabio
Sono trascorsi 30 anni dal lontano 1962 quando veniva aperto a Vasto l’Istituto Tecnico Industriale. Nei locali della ex Domus Pacis messi a disposizione, 140 alunni non solo di Vasto ma anche del comprensorio, suddivisi in quattro classi numerose, iniziavano l’avventura di una nuova scuola con i problemi, le preoccupazioni e le incertezze che l’accompagnavano.
Sono stati questi 140 ” pionieri ” guidati da docenti che hanno affrontato ostacoli di ogni genere che hanno permesso alla città del Vasto di disporre, oggi, di un’istituto tecnico industriale che conta più di 1.000 alunni e con ben quattro specializzazioni meccanica, chimica, elettrotecnica, informatica e con una moderna sede, anche se insufficiente per il sempre crescente numero di alunni, funzionale e munita di attrezzatura ed apparecchiature sofisticate che nulla hanno a che vedere con i due banconi e le poche lime a disposizione nel 1962.
Una citazione particolare è doveroso rivolgere alla memoria di almeno una persona che ha saputo guidare l’Istituto non solo sotto il profilo organizzativo-didattico ma anche sotto quello spirituale: rev. don Antonio MORETTA che è stato il primo ” facente funzione ” di preside e che è rimasto legato all’I.T.I.S. di Vasto fino al pensionamento.
Altri uomini sarebbero da ricordare ma, per non commettere qualche errore di dimenticanza, li annovereremo tra quelle a cui la città e l’Istituto devono molto. Per molti anni l’I.T.I.S. è stato uno degli istituti con i maggiori problemi logistici della città; i primi anni vengono ancora oggi ricordati per le continue agitazioni e scioperi degli studenti motivati principalmente dalla mancanza di una sede. Dopo il primo anno alla Domus Pacis c’è stato il trasferimento a Vasto Marina negli stabili messi a disposizione da Padre Valeriane e Padre Alberto. Con le due sedi staccate per la neonata specializzazione di Chimica, che ha seguito quella iniziale di Meccanica. Poi arriva elettrotecnica. Sono gli anni della ginnastica sull’arenile di Vasto Marina e dei laboratori nelle baracche site davanti l’Istituto.
Ma l’Industriale è andato avanti.
È la scuola dei figli della emergente ” workìng class “, di quelli che vedono un grande avvenire nel miracolo industriale. Sono gli anni dello sviluppo industriale e l’Abruzzo doveva necessariamente intraprendere questa strada per non rimanere tagliata fuori e se voleva vedere risolto il triste fenomeno della emigrazione e della agricoltura povera.
A Vasto a maggio 1962 veniva costituita la SIV, a settembre (promosso dalle Amministrazioni locali ed assecondato dalla classe politica dirigente) veniva istituito il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale, il 1° ottobre aperto l’Istituto Industriale. Ma la sfida a trasformare l’intera area con insediamenti industriali ed infrastrutture necessarie passava anche attraverso la disponibilità a reperire sul mercato locale del lavoro tecnici qualificati che solo un istituto industriale poteva formare.
L’abbinamento dell’I.T.I. con il mondo del lavoro ed in maniera specifica con le e industrie manifatturiere ha avuto il sigillo con la felice idea di intitolare la sedc vastese alla memoria Enrico MATTEI prestigioso presidente dell’ENI.
Quindi l’apertura della nuova scuola rientrava in un disegno di crescita sociale culturale ed economica di tutta la zona del Vastese. Il “Mattei” ha sicuramente assolto al suo mandato immettendo sul mercato del lavoro giovani tecnici qualificati per decine di aziende grandi medie e pìccole, creando un diffuso benessere.
Giuseppe Di Fabio
Giulia Pastorelli: la scuola ha formato professionisti di “incontaminata umiltà”
” Volarono anni corti come giorni ” ha scritto il Poeta. I trent’anni che ci separano dall’istituzione delle Industriali, nella mia coscienza non si srotolano come un lungo filo di avvenimenti lontani, ma sono un punto luminoso, vicino, quasi tangibile.
Questa scuola, a me carissima, è particolarmente legata ai miei ricordi, perché intessuta intensamente al mio privato: il mio primo anno di insegnamento, la nascita della mia prima figlia.
L’impatto con una città solare e splendida nella luce accecante del suo golfo e negli aspri profumi della macchia mediterranea: l’incontro con ragazzi “particolari”, parecchi “rientrati” nella scolarità dopo esperienze di lavoro (le più diverse: chi come cameriere, chi come elettricista, chi come meccanico ecc.) richiamati dall’indirizzo dell’Istituto che prometteva un futuro più sicuro o più congeniale alle proprie aspirazioni; ragazzi che provenivano anche dal circondario di Vasto, da paesi dei nomi a me sconosciuti: Cupello, San Salvo, Campomarino ecc, desiderosi di imparare, dotati di una sensibilità vivissima, dovuta ad una maturità umana frutto spesso di esperienze dolorose, quasi tutti provenienti da un ceto sociale povero.
E presso la Cattedrale di San Giuseppe, in aule piccole e poco confortevoli, issate su un primo piano da raggiungere dopo aver superato una scalinata di gradini alti e disagevoli, si sono svolte le lezioni del primo anno: incontri che, per me, avevano del fantastico: la lenta e faticosa scoperta della sacralità della parola, colta nella sua essenza, non tanto attraverso un processo di impegno letterario, quanto attraverso repentini, improvvisi e fulminei sprazzi di intuizione.
E, via via, ho accompagnato questi ragazzi lungo l’iter dei cinque anni, fino alla maturità: successivamente in locali più idonei, situati lungo la costa marina, elargitrice di gratificanti brezze, e, quindi l’incontro con autori complessi ed impegnati quali Leopardi e Manzoni, ma anche Pirandello e Pavese.
Anni indimenticabili, che mi hanno molto arricchito: ho conosciuto, attraverso il contatto con le famiglie, la vita dignitosa e sofferta dei pescatori, dei contadini, degli operai, le silenziose rinunce, la fatica oppressiva di tanti padri.
Erano gli anni di un’Italia in ascesa, del boom economico, del centro-sinistra che apriva sprazzi di speranza su un futuro tutto da costruire: ed i ragazzi hanno saputo cogliere tutti, con l’impegno e la volontà di cambiamento, l’occasione di un momento storico irripetibile: ed ora sono tutti professionisti affermati, quadri di aziende, ottimi impiegati: ma tutti hanno mantenuto il candore della giovinezza ed in fondo allo sguardo una incontaminata umiltà che è il pregio più grande.
Profondamente diversi dai loro figli, molti dei quali sono i miei attuali alunni degli anni ’90: ormai inseriti in un’era tecnologica, sorretti dal benessere dei loro padri e, forse, incosapevoli dei loro sacrifici, distratti, come tutti i giovani d’oggi, da mille svariati interessi: rappresentano il “segno dei tempi”. la concreta testimonianza degli anni che passano e l’ammonimento, per me, di essere giunta, ormai, al termine del mio percorso.
Un saluto affettuoso, quindi, alla grande famiglia delle Industriali, a tutti i miei “compagni di viaggio”, docenti, non docenti ed alunni, un ricordo struggente a coloro che ci hanno preceduto nell’al di là (fra i primi che mi vengono in mente gli indimenticabili Don Raffaele Pignatelli, Cenzino Russo, Angelo Muzii, Don Antonio Moretta, Giovanni D’Aurizio e, recentemente, la carissima Maria Olivieri) ed un augurio vivissimo a questo Istituto dal grande futuro, di cui sono stata una pioniera, in cui ho profondamente creduto e che ho profondamente amato.
Giulia Maiella Pastorelli
Da VastoNotizie di Nicola D’Adamo ottobre e novembre 1992
AGLI ALBORI DELL’ITIS DI VASTO
di Edoardo Suriani
(NDR VENUTO A MANCARE A SETTEMBRE 2018)
Verso la fine dell’anno 1963, con la morte nel cuore, riuscii a laurearmi battendo sul tempo la incurabile malattia di mia Madre e dandole così la tanto desiderata – ma purtroppo ultima – gioia della Sua troppo breve vita; il Suo telegramma, gelosamente custodito fra le mie “cose sacre”, diceva: “Sono la mamma più felice ed orgogliosa del mondo, e sono perfettamente guarita”; ma non era guarita affatto, e quattro mesi più tardi mi lasciò.
Scomparsa Lei, nel marzo del ’64, mi trasferii da Roma a Vasto per stare vicino a mio Padre – anche Lui, purtroppo, scomparso già da tanti anni – che, quale Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Chieti (cui dedicò, con grande impegno e passione, ben 22 anni della Sua vita) ed avendo perciò necessità di restare in zona, aveva abbandonato definitivamente la residenza romana per eleggere a Suo domicilio e centro operativo la “casa al mare” che la famiglia Suriani aveva, da più di cento anni, a Punta Penna.
IL MIO INIZIO. Verso il termine di quella triste estate venni avvicinato da una persona (al tempo da me non conosciuta, ma con la quale entrai subito in sintonia e della quale, con gran rimpianto, conservo uno splendido ricordo) che non era altri che” Cenzino “, Vincenzo RUSSO, Professore di Educazione Fisica a Vasto nella sezione staccata dell’Istituto Tecnico Industriale Statale” Luigi Di Savoia “di Chieti, in cui svolgeva funzioni di coordinatore già da due anni.
Poiché, a questo punto, avrebbe dovuto dar corso all’organizzazione del terzo anno, essendosi saggiamente indirizzato verso la specializzazione “Meccanica” in considerazione dei posti di lavoro che si andavano creando nelle industrie sorgenti nella vicina Zona Industriale di S. Salvo, aveva necessità di un ingegnere meccanico per l’insegnamento delle materie tecniche e così, informato della mia presenza in zona, mi contattò pregandomi di accettare l’incarico di insegnare in quello che allora – ed anche in seguito – considerai il “Suo” Istituto; ma io, che avevo per la testa ben altre cose (ero fortemente attratto dall’industria, (quella motoristica in particolare) Gli dissi che sarei restato ancora qualche mese vicino a mio Padre a Punta Penna, ma che poi avrei cercato lavoro presso qualche grande fabbrica automobilistica “perché quella era la mia strada “….(a dir la verità contavo di andare a lavorare alla FERRARI perché il “Drake”, di cui mio Padre era buon conoscente, aveva un giorno avuto modo di dirgli, in mia presenza, di farmi andare da Lui non appena laureato!).
A conclusione, però, di una lunga serie di incontri nel corso dei quali il buon Cenzino cercò in tutti i modi di fiaccare la mia resistenza, un giorno, senza tanti complimenti, mi disse a bruciapelo:
“Guarda che fra dieci giorni iniziano le lezioni, e se tu non ti presenti mi mandi in galera…”
“Come, ti mando in galera? ”
“Sì, mi mandi in galera perché io ho inoltrato la tua domanda di insegnamento falsificando la tua firma…”
” Ah!…”
Non mi restò che “abbozzare”, rispondendo debolmente:
“Va bene, ma solo per quest’anno; e questo scherzo non avresti dovuto farmelo!”
“Eh…devi perdonarmi, ma non avevo vie d’uscita…!” Così mi presentai al mio primo giorno di insegnamento: dopo due o tre ore di lezione entrò in aula Cenzino e mi fece firmare un grosso pacco di carte; nascosta tra queste si trovava anche….la mia domanda di insegnamento!
SCUOLA E GO-KART .
Iniziai con grande entusiasmo, e tutto andò subito in modo splendido: tra me ed i “ragazzi” – alcuni non tanto! – si instaurò immediatamente una grande facilità di comu-nicazione e tutto andò sin dall’inizio a gonfie vele, nonostante le molte difficoltà che ogni nuovo giorno portava; riuscii a trovare – almeno così credo sia stato – il giusto punto di incontro fra teoria e pratica, e mi fu possibile quindi insegnare facendo credere a quelle cose di cui illustravo la relativa teoria (che poteva essere noiosa e forse non dire molto) ma che poi riportavo immediatamente sul lato pratico, convincendo anche gli scettici ed entusiasmando chi vedeva trasformarsi nella pratica della realtà quanto era stato prima” propinato “- quasi una disgustosa medicina….- sotto l’arido aspetto di una formula teorica.
In quel periodo correvo con il kart – partecipavo al Campionato Italiano 125 cc. Competizione – ed avevo adottato la consuetudine di portare con me, ogni domenica che andavo a correre (Milano, Fano, Roma, Falconara, ecc..) i due allievi che nel corso della settimana avevano ottenuto i migliori risultati nelle mie materie; e così, facendomi da coadiutori, da meccanici, a cronometristi ecc. trascorrevamo insieme intensissime e faticose, ma impagabili e rimpiante, giornate di gara.
Inutile precisare che la lotta scolastica tra gli allievi era accesissima, perché tutti quanti volevano eccellere nelle mie materie per poter conquistare il diritto di accompagnarmi!
PRESIDE f.f. Non ricordo se quell’anno stesso o l’anno seguente fui nominato ” facente funzione “(di Preside) quale fiduciario della Presidenza dell’Istituto di Chieti – di cui eravamo, come già detto, “Sezione staccata” – restandomi così affidata completamente la Scuola (il Preside veniva solo una o due volte l’anno) e cominciando a fare….i salti mortali! Sì, perché avevo un sacco di ore di insegnamento anche conseguentemente al fatto che nel frattempo le classi in cui insegnavo erano diventate terze, quarte e quinte (A e B!) e quindi dovevo essere presente in Presidenza, fare tutto quanto necessario per il funzionamento della Scuola ed essere anche presente – pressoché contemporaneamente!-in aula; il tutto complicato dal fatto che gli Uffici di Presidenza e di Segreteria erano al piano terra, e le aule delle classi “alte” si trovavano invece al secondo piano! Andai avanti così per un poco finché, con un colpo di….genio (!), decisi di trasferire al primo piano le aule relative a tutte le classi in cui insegnavo in modo che quando, ogni….cinque minuti (!?!), venivo chiamato per qualcosa di importante o era richiesta la mia presenza per risolvere i vari problemi che via via si presentavano nel corso della mattinata, in quattro salti scendevo e risalivo, e così risparmiavo almeno un po’ di scale (il…50% per la precisione!).-
In quel periodo facemmo proprio di tutto: fra l’altro costruimmo accanto all’Istituto un locale (in cui installammo il generatore di acetilene necessario per le esercitazioni di saldatura) con i mattoni gentilmente donatici da Lello Petroro, trasportati con il mio rimorchietto per i kart agganciato alla mia Giulia sprint e messi in opera da due o tre allievi che, essendo figli di muratori, avevano una qualche dimestichezza con la cazzuola!
I 17 TORNI. Attrezzammo subito la scuola con diciassette splendidi torni che andarono a sollevare da un….gravosissimo (!) compito l’unico, stanco, tornio che al tempo era posseduto dal nostro Istituto: il vecchio “tornio di Garibaldi” – così lo chiamavamo – riesumato dal fondo dei magazzini della Sede Centrale di Chieti e da noi pazientemente restaurato!
A tal proposito merita ricordare come prendemmo questi torni: un giorno passò quello che poi sarebbe diventato un caro Amico – anche Egli, purtroppo, già scomparso – che ci aveva in passato fornito innumerevoli utensili ed attrezzature di lavoro e da laboratorio quale comproprietario di una ditta marchigiana di utensilerie.
Quel giorno, comunicandoci che stava impiantando nella nostra regione una fabbrica di torni destinati proprio alla didattica, ce ne propose l’acquisto di alcuni esemplari. La cosa mi colse impreparato temendo, io, che prodotti non ancora ben collaudati potessero riservare sorprese non gradite; ma Lui tagliò subito la testa al toro facendomene portare uno grande, in uso gratuito, ed invitandomi ad utilizzarlo a mio piacimento tentando, possibilmente, di romperlo!
Era un bellissimo tornio, lo utilizzammo per molti mesi e ci facemmo un sacco di lavori; onestamente non tentammo di romperlo, però, nonostante questo,…. qualche manovra sbagliata….ci scappò; ma resistette sempre, e….”senza fare una piega”!
Qui giunti, e convinti dall’esauriente collaudo effettuato, ci decidemmo ad acquistare – a condizioni eccezionalmente vantaggiose – quelli che mi sembra siano stati i primi diciassette torni prodotti dalla Sua fabbrica: ancora oggi si trovano in Istituto e si comportano egregiamente come sin dal giorno del loro arrivo!
In quella occasione, per di più, ci venne fatto omaggio di un bel trapano/fresa, una particolare mac-china utensile molto simpatica e versatile che consentiva, tra l’altro, l’effettuazione di lavorazioni meccaniche inconsuete e raffinate senza che peraltro fossero necessarie grosse capacità da parte dell’operatore.
L’ORARIO SCOLASTICO. Le cose andarono così avanti per parecchio tempo e furono superate anche le usuali, ma sempre diverse, difficoltà di preparazione di orario (che è una delle cose più difficili dell’organizzazione scolastica e che allora, non esistendo i computers, doveva essere fatta solo rimboccandosi le maniche e trovando tanta pazienza), distribuendo le ore dei professori in modo didatticamente giusto ed omogeneo (regolarmente intervallate ma, perdeter-minate materie, con due ore consecutive una volta la settimana onde consentire l’effettuazione dei compiti in classe), facendo in modo che ogni professore avesse una sua giornata di riposo (possibilmente quella da lui desiderata), che ci fosse almeno una “ora buco”a settimana per consentire il ricevimento dei genitori da parte dei singoli professori, che l’educazione fisica delle ragazze non coincidesse con quella dei ragazzi (insegnanti ed esercizi diversi, disponibilità di una sola palestra…) con necessità, quindi, di far entrare, ad esempio, i ragazzi di certe classi un’ora dopo e fare uscire le ragazze delle stesse classi un’ora prima, ecc. ecc..
LA CARENZA DI AULE. I reparti di lavorazione, fortunatamente e provvidenzialmente esistenti nonostante il poco spazio disponibile, dovevano inoltre essere necessariamente organizzati ed utilizzati in modo da supplire alla carenza di aule (che erano in numero inferiore a quello delle classi), la qual cosa comportava che una stessa aula fosse frequentata da più di una classe grazie all’elasticità conseguente proprio all’esistenza dei reparti di lavorazione e dell’aula di educazione fisica! E le cose divennero ancora più difficili quando l’aumento delle sezioni e delle specializzazioni (e, conseguentemente, delle classi) rese necessaria l’occupazione dei locali di “Padre Alberto” i quali, pur se distanti solo qualche centinaio di metri dalla nostra “sede principale” (i cui locali, accanto all’Autostello, era di “Padre Valeriano”), comportavano consistenti inconvenienti nelle talvolta indispensabili ” trasferte ” di professori ed allievi nel corso della mattinata!
Ma tutto andò avanti con grande efficienza grazie al validissimo e prezioso aiuto della Segreteria Rag. Maria Luisa Cianci ed alla tanto appassionata ed affettuosa quanto disinteressata collaborazione di ” Cenzino “e dei carissimi, ma purtroppo anch’essi non più tra noi, Prof. Giovanni D’Aurizio e Nicola Malatesta; il tutto amalgamato dalla bonaria saggezza di Don Antonio Moretta, dalle battute scherzose del caro Avv. Muzii e dalla grazia della Prof.ssa Maria Olivieri, persone – e “figure” – tutte rimpiante ed indimenticabili!
Riuscimmo ad ottenere il finanziamento per acquistare il capannone in cui allocammo i torni e….stavamo bene, funzionava tutto alla perfezione – o quasi -, eravamo proprio tutti amici, e c’era veramente poca differenza fra insegnanti ed allievi: si lavorava insieme per costruire le basi di qualche cosa” che valesse la pena “, e che poi avrebbe continuato sicura per la sua strada in incessante crescendo.
LE GITE SCOLASTICHE. Naturalmente non potevano mancare le gite scolastiche di istruzione, che per la terze e quarte classi avevano per meta industrie della provincia o della regione mentre, per le quinte, si faceva in modo fossero di più ampio respiro. Memorabile restò la prima che organizzammo: con la validissima collaborazione di Peppino Massacesi – titolare dell’allora unica agenzia di viaggi esistente a Vasto – riuscimmo addirittura ad ottenere una carrozza di prima classe tutta per noi, e che restò a nostra disposizione accompagnandoci per tutto il viaggio.
Anche il vettovagliamento fu organizzato alla perfezione: con l’aiuto del personale FF.SS. della stazione, grazie anche ad un particolare tipo di collegamento telefonico (che anticipava in un certo qual modo, sia pure con procedure diverse, la non ancora esistente teleselezione) con cui potevano essere raggiunte tutte le stazioni della rete ferroviaria, riuscimmo a prendere accordi con i vari punti di ristoro prescelti in fase di preparazione del viaggio, cosicché al passaggio ci venivano consegnati i cestini pattuiti e preparati nei modi da noi richiesti.
LA FERRARI. Prima tappa fu, naturalmente, …la FERRARI. Non era cosa affatto facile ottenere il permesso per visitarla, a meno ancora in presenza di scolaresche composte da decine di unità, ma fu superato anche questo ostacolo e potemmo girarla ed osservarla a nostro piacimento. Sì, proprio “a nostro piacimento”, perché la visita venne effettuata di sabato – o di domenica, non ricordo bene – a fabbrica ferma, e potemmo vedere (e…toccare!) tutto in perfetta comodità!
In quella occasione avemmo anche modo di incontrare il povero Lorenzo Bandini, allora prima guida della Ferrari, con il quale ci fotografammo e trattenemmo a lungo in simpatica conversazione, mai immaginando che solo due domeniche dopo sarebbe stato lo sfortunato protagonista del tragico incidente di Montecarlo.
Il giorno seguente, risaliti sulla ormai “nostra”carrozza – che ci aveva pazientemente atteso su un bi-nario morto della stazione di Modena – proseguimmo alla volta di Monaco di Baviera, dove ci attendevano il Museo della Scienza e della Tecnica e la BMW.
MONACO DI BAVIERA. Furono tre o quattro giorni molto, molto intensi; al Museo dedicammo tante ore (era smisurato, ed ogni sezione troppo interessante per poter essere visitata a passo di corsa), ma riuscimmo anche – non tutti, però – a fare una capatina alla BMW nonché ad un capannone/birreria di due o tremila metri quadri o giù di lì, dove anziane e monumentali virago, con i gomiti puntati su tavoli di lamiera zincata, scolavano uno dopo l’altro raccapriccianti boccali da due e più litri!
Tra i ” gitanti ” ci fu anche chi – beninteso non in quella birreria! – non restò insensibile al fascino delle …indigene più giovani, facendoci un giorno tremare allorché intuimmo l’approssimarsi di una maxirissa, fortunatamente poi dribblata in extremis, che stava per avere come campo di battaglia il ristorante dell’albergo in cui eravamo alloggiati, e la cui specialità quotidianamente impostaci consisteva, ahinoi, in una sorta di palle di cannone (i medicinali e famigerati ” knòdel “) realizzate con pasta di patate compressa ed amalgamata con amido, colle e forsanche resine epossidiche!
IL DOPO-DIPLOMA. Una volta terminati gli esami e condotto al diploma il plotone dei ” fondatori ” (per migliorare la preparazione in vista della prova finale facemmo addirittura altri dieci o quindici giorni di lezioni extra dopo la chiusura della scuola!), verso la fine del 1967 partii per andare a la-vorare al DIPRE-ESPE (Dipartimento Progettazione ed Esperienze, Reparto Sperimentale Motori) dell’Alfa Romeo al ” Portello “; nel luglio del ’68, però, chiesi ed ottenni qualche giorno di permesso e tornai a Vasto per seguire ed aiutare, sia pure dal di fuori della scuola, gli ex allievi del secondo scaglione, quelli che ero stato costretto ad abbandonare perché la vita mi conduceva altrove.
Con una grande nostalgia, galleggiante su quella sensazione di sottile, sordo e freddo dolore che accompagna sempre il ricordo delle cose belle che sono state e non potranno più essere, quegli anni restano per me i più sereni, veri ed appaganti della mia vita, e sono orgoglioso che tanti di quegli ex allievi (e che ora, più che “ex allievi”sento il bisogno di chiamare “vecchi cari Amici”) abbiano saputo farsi strada ed affermarsi in molteplici campi ed attività; e mi inorgoglisce il fatto che forse con un pizzico di immodestia ritengo il mio insegnamento sia stato loro utile nella vita non soltanto per quelle poche o molte nozioni tecniche che al tempo riuscii a trasmettere (e che oggi potrebbero anche….aver dimenticato!) ma ancor più per quella linearità di comportamento e quei fondamentali principi di correttezza e di civile e sociale convivenza che sempre considerai indispensabile corollario educativo a quanto di tecnico andavo loro trasmettendo.