Un disastro annunciato. E’ il mio primo amaro commento al risultato elettorale. La destra-destra governerà il Paese nel momento più difficile della storia repubblicana, tra venti di guerra, inflazione galoppante, recessione economica, tassi di interesse in rialzo, diffidenza internazionale e casse vuote. Auguriamo a Giorgia Meloni di fare il meglio possibile, nell’interesse di tutti, e pure saremo vigili ed intransigenti nella difesa dei diritti delle donne e civili in generale, faticosamente conquistati in decenni di dure lotte. E’ peraltro facile prevedere che la destra-destra, anche per le palesi contraddizioni interne, non riuscirà nell’intento di governare un insieme congiunto di complessità mai viste in passato e che il governo sarà presto travolto dall’impossibilità a dare risposte ai gravissimi problemi del Paese. Ma questo non ci consola.
Per noi socialisti è il momento della severa autocritica e della riflessione profonda. Lo schema dell’alleanza con il Pd “a qualsiasi costo” deve essere archiviato, rappresenta un modo di fare politica anacronistico e verticistico che è ormai chiuso nei fatti, e ne subiamo le gravi conseguenze. Ancora una volta abbiamo donato sangue e senza ottenere nulla. E’ accaduto il 25 settembre, è accaduto alle recenti comunali aquilane, è accaduto quasi ovunque in Italia. Queste elezioni hanno un vero e grande sconfitto: il Pd di Enrico Letta. Il misero 19%, considerato pure l’apporto di Articolo uno-Mdp e del Psi, é addirittura meno del risultato conseguito dal partito nel 2018 che costò a Renzi la segreteria. Letta è partito con l’idea buona del “campo largo” ed è approdato, per incredibili errori sequenziali, ad un campo men che stretto. Letta ha escluso subito qualsiasi alleanza con i 5 stelle, si è presentato agli elettori con una coalizione fondata su un accordo tecnico e non di governo, non ha proposto un programma se non una indefinita “agenda Draghi”, né una leadership condivisa, ovvero tutto il contrario della opposta coalizione. Il risultato? Un disastro, con milioni di elettori passati a pié pari da sinistra a destra, lasciando ai 5 stelle il campo progressista per raccogliere i voti degli scontenti e dei ceti più disagiati. Operazione riuscita a Conte, perché ha trovato un territorio lasciato vuoto proprio dal Pd.
Noi socialisti, a fronte di questo disastro annunciato, avremmo dovuto seguire, come in più occasioni ho provato a suggerire, un tracciato diverso. Invece di rincorrere il Pd a qualsiasi costo, siglando una sgangherata alleanza che ha portato all’azzeramento della nostra presenza parlamentare, avremmo dovuto seguire altre strade. Dopo l’esclusione di Riccardo Nencini dalla ricandidatura, è mancato quello scatto d’orgoglio che ci avrebbe dovuto portare a presentare una nostra lista autonoma, e tentare alleanze che non sono state tentate. Ancor prima, avremmo potuto provare una lista con “Azione/Italia Viva” se invece di fare solo un accordo tecnico “Psi/Italia Viva” al Senato creavamo i presupposti per dargli un’anima politica. Ed ancora avremmo potuto allearci con “Più Europa” che con il nostro apporto avrebbe certamente superato il 3%. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, non mancavano altre strade, ma non si è voluto agirle né vederle per rispettare un accordo del tutto subalterno al Pd. Un Pd che prende e non dà. Un Pd apparso completamento schiacciato su Draghi e sulla Nato e lontanissimo dai reali problemi della gente: costo dell’energia, inflazione, sanità, scuola, cambiamento climatico, lotta alle diseguaglianze economiche e sociali…che poi sono i nostri temi da sempre!
Occorre fare una severa autocritica, rinnovare il gruppo dirigente, recuperare autonomia rispetto a questo Pd (a meno che non cambi ed in fretta, ma permettetemi di dubitare!), ricostruire il partito dai territori e non da Roma. Autocritica, autonomia e ripartenza, non vedo alternative. Occorre tornare alle origini, fare sostanza del nostro slogan “il futuro ha radici antiche”, ritrovare la nostra identità per prepararci a dare risposte concrete ai tempi cupi che attendono l’Italia, e non solo. Dobbiamo avere il coraggio di aprire un orizzonte nuovo, un orizzonte diverso, un orizzonte che deve vedere completamente modificato il nostro modo di fare politica e le nostre prassi. L’alternativa è continuare a fare finta di non vedere, perseverare negli errori del passato, alla fine probabilmente estinguerci.