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Davide D’Alessandro: “Mario Sconcerti era passione e competenza. Con l’arte di raccontare il calcio”.

Sconcertati! Mario avrebbe apprezzato la battuta, ma andarsene così, all’improvviso, il giorno dopo Sinisa Mihajlovic, è davvero sconcertante. C’è bisogno di dire che il primo articolo da leggere, dopo le partite di campionato, fosse il suo? C’è bisogno di ricordare che la sua Storia è una storia delle idee del calcio e andrebbe letta e riletta poiché trasuda passione e competenza da tutti i pori? C’è bisogno di scrivere che la Viola era in cima ai suoi pensieri e che vederla perderla era per lui un colpo al cuore?

Anche Sconcerti ha ceduto troppo presto nella sua partita contro la morte e se n’è andato con il campionato in vacanza. Dal 5 gennaio, il giorno successivo alla ripresa, mancherà il suo articolo, il suo elogio di Spalletti, la sua compostezza nel declinare vittorie e sconfitte altrui, la sua trepidazione per la Fiorentina di Italiano che dimostra di poter vincere e perdere da chiunque.

Era fiorentino, Sconcerti, e l’essere nato il 24 ottobre, lo stesso giorno di mio padre, me lo rendeva simpatico anche quando sottolineava la differenza tra noi juventini e le altre, anche quando ribadiva che a Torino sanno come si vince, costi quel che costi. 

Se la mia rubrichetta su Huffpost ha per titolo “Calciami o Diva” è perché, prima di scriverla, ascoltavo il canto di Sconcerti, la sua prosa illuminante, le sue invenzioni dialettiche; una su tutte: “Quando non si riusciva a capire chi avesse segnato, era stato Rossi”. Paolino sbucava da dietro gli avversari, come un ladro rubava il tempo e la partita, nel senso che se la portava a casa prima che fosse visto o intercettato.

Gianni Brera affibbiò anche a lui un nomignolo: il Navarro. Erano insieme sulla tribuna dell’Heysel durante la tragedia del 29 maggio 1985. Raccontò Sconcerti: “Brera era rimasto al suo posto impassibile. Troppo. Lo conoscevo ormai da anni. Quando non gli si muoveva un muscolo, stava subendo i suoi pensieri. Era scosso anche lui. Eravamo più che in diretta, stavamo accadendo anche noi. Gli chiesi che pezzo volesse fare. Mi disse che era venuto per scrivere la partita e quello avrebbe fatto. Gli dissi, Gianni, la partita forse non la giocano nemmeno e sono successe cose molto brutte. C’è bisogno di te. Rispose, scusa Navarro, ma io scrivo la partita. Se non la giocano, non scrivo. Era assurdo, chiusi lì”.

Lunedì 19 dicembre saranno trent’anni dalla morte di Brera. Mario se n’è andato due giorni prima. Lunedì sarei andato in edicola, avrei preso il “Corriere” e mi sarei precipitato a leggere il suo “pezzo” ancor prima di pagare la copia. Dicono che i campioni siano i giganti dello stadio, mentre i giornalisti sportivi nient’altro che i pigmei. Ma, tra i tanti, qualcuno si è fatto gigante. Con la scrittura. Con l’arte di raccontare il calcio. Con il desiderio, neanche tanto celato, di far sognare i tifosi. Faceva pronostici, Sconcerti, e puntualmente li sbagliava. Era stato Brera a ricordargli che i pronostici li sbaglia soltanto chi li fa, i rigori soltanto chi li tira.

Chi avrebbe potuto pronosticare la morte di Mario il giorno dopo quella di Mihajlovic? Nessuno. Invece è accaduto. Il calcio ha perso due grandi campioni. Oggi è persino doveroso essere Viola. Viola di rabbia.

Davide D’Alessandro

tratto da huffingtonpost.it

foto corriere.it

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