Domenica delle Palme – Anno A
Trenta monete d’argento (Mt. 27,1-46).
Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato. Allora Giuda – colui che lo tradì –, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». Tenuto consiglio, comprarono con esse il «Campo del vasaio» per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato «Campo di sangue» fino al giorno d’oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore. Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla. Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia. Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!». Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». Tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo. Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Golgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei». Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra. Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare sé stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo. A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.
L’evangelista Matteo è quello che riprende più da vicino il racconto della Passione di Marco e con esso mantiene una caratteristica: la drammaticità della descrizione della morte di Gesù e l’assenza di personaggi positivi prima di quella morte. Unica eccezione, anche un po’ ambigua, la moglie di Pilato che esorta il marito a non occuparsi di Gesù per un sogno che ha fatto. Il vertice della negatività è rappresentato certamente da Giuda, su cui Matteo si sofferma molto, così come sull’aspetto economico del suo tradimento, quelle trenta monete che poi saranno usate, una volta restituite per il rimorso a chi gliele aveva date, per comprare un terreno per la sepoltura di stranieri (un particolare ironico che anticipa l’universalità della predicazione evangelica, rivolta sia ad ebrei che a pagani). Nella vendita di Gesù, in tal modo, vengono simboleggiati tutti quegli esseri umani che lungo la storia sono stati e sono oggetto di commercio e di vendita per trarre profitto sulla pelle dei disperati, tema fin troppo attuale nel dramma epocale delle migrazioni. La totale distanza dei personaggi da Gesù (persino Pietro, il suo discepolo più vicino lo rinnega) è in fondo la trasposizione narrativa di quanto dice Paolo nella lettera ai Romani: mentre eravamo nemici Dio ha dato suo Figlio per noi, accentuando così la gratuità di un amore che non si ferma neppure davanti al rifiuto e all’indifferenza. Giuda che, disperato, si suicida non è molto diverso da tutti gli altri, favorendo un altro tipo di lettura rispetto a quello solito: nessuno può ritenersi migliore di Giuda perché nel momento della morte tutti si sono allontanati da Gesù. Solo dopo la sua morte disperata c’è la reazione di un centurione che lo riconosce Figlio di Dio, viene notata la presenza di alcune donne e un uomo (Giuseppe di Arimatea) si prende cura del corpo. Il messaggio forse è che, con la sua morte, Gesù crea una nuova realtà in cui gli uomini da nemici possono diventare fratelli, da malvagi possono diventare giusti. Prima di Cristo, dice sempre Paolo, tutti siamo peccatori e privi della gloria di Dio. Dopo la sua morte vissuta come dono può nascere un’umanità che non agisce per interessi o per profitto, ma sulla stessa lunghezza d’onda di chi ci ha amato con tutto sé stesso. Viene in mente ciò che De André fa dire a Tito, il ladrone che muore accanto a Gesù: “nella pietà che non cede al rancore, madre ho imparato l’amore”.
Don Michele Tartaglia