“In cinque anni la programmazione e l’edilizia sanitaria sono ancora sulla carta. Della consiliatura Marsilio non ricorderemo opere, ma solo annunci e debiti. La sanità, fra i tanti bluff del governo regionale di centrodestra, è quello più grosso e dagli effetti peggiori per la comunità: oggi i cittadini pagano servizi e prestazioni che non ricevono. Intanto in Abruzzo crescono le liste di attesa e i deficit delle 4 Asl, arrivati ormai oltre i 170 milioni di euro, come rileva anche la Corte dei Conti. L’unico primato tangibile è aver riportato la sanità regionale indietro di dieci anni”, così i gruppi Pd, Legnini Presidente e Abruzzo in Comune sulla rete ospedaliera, a seguito della conferenza stampa tenuta oggi a Pescara nella sede del Consiglio regionale di piazza Unione.
“Marsilio vuol far credere agli abruzzesi di aver rivoluzionato la sanità con il gioco delle poltrone dei direttori generali, l’unico che veramente interessa il centrodestra a trazione Fratelli d’Italia – incalzano i consiglieri Silvio Paolucci, Dino Pepe, Antonio Blasioli, Pierpaolo Pietrucci, Americo Di Benedetto e Sandro Mariani – . Non c’è nulla che attesti che il centrodestra si stia occupando della salute degli abruzzesi, perché la rete ospedaliera approdata in Consiglio regionale dopo tanti anni di attesa non nasce per essere concretizzata. Il diritto alla cura resta al palo come le tante urgenze rimaste tali: strutture, organici, attrezzature, liste di attesa, mobilità passiva, formazione”.
Un momento storico sprecato. Il Consiglio non approva una rete ospedaliera dal lontano 2005/8. Ma nel chiedersi se il governo regionale abbia colto la rilevanza di tale approdo, salta agli occhi che così non è, visto che l’attuale rete non ha l’ambizione di essere attuata, né c’è l’interesse di farlo nei prossimi mesi. Per questo non l’abbiamo votata. È una legge approvata per procedere a una campagna elettorale, cercando di rivendicare risultati che non ci sono non ci o saranno perché ha obiettivi insostenibili. L’auspicio è che il nuovo governo, speriamo a guida di Luciano D’Amico, rimetta mano alla rete perché possa esserlo. L’ultima programmazione è del 2016, da allora a oggi tutto è rimasto congelato. L’attuale rete non risponde alle esigenze della comunità abruzzese, non migliora la qualità delle cure, non attrae professionisti a fare da motore al sistema e, dulcis in fundo, dovrebbe reggersi a invarianza di spesa. Questi sono limiti non da poco.
Il flop è nei dati. A parte la mancanza di visione, ci sono cinque anni di totale immobilità che hanno visto scendere qualità e quantità delle prestazioni della sanità abruzzese. Alcuni esempi: a Ortona, nel 2018 si erogavano 5.204 prestazioni nel 2022 siamo a 2.826, il 50 per cento in meno; a Castel di Sangro si passa da 1.512 a 843, il 44% in meno; al Renzetti di Lanciano, si va dalle 9.051 prestazioni del 2022 a 6.287 di oggi; Sulmona, sulla carta Dea di I livello, passa da 5.379 di quando non lo era alle 3.581 della fine del lavoro di questo governo regionale; a Vasto si passa da 10.103 a 7.425; Atri da 6.200 a 5.200; Avezzano da 14.188 a 11.173; Giulianova da 4.136 a3.850; e L’Aquila da 20.819 a16.900. L’argomentazione non può essere più il Covid che ha colpito l’Abruzzo e in altre regioni (vedere allegato).
Pazienti in fuga. Saldo mobilità passiva recita che nel 2020 -101 milioni, nel 2021 92, mentre si lasciava nel 2018 a -71 e nel 2015 -76 milioni, una crescita progressiva che rileva che chi ha potuto permetterselo ha cercato risposte fuori dall’Abruzzo, oggi non solo per prestazioni urgenti e gravi, ma anche per quelle di media e bassa complessità. Per quanto riguarda i primati, a noi più che quelli teorici sventolati da Marsilio per fare campagna elettorale con questa rete, interessa un’altra maglia nera per l’Abruzzo che fa molto clamore riguarda la percentuale di pazienti operati di tumore al colon secondo la tempistica: in Italia si va dal 49% medio al massimo del 74 per cento, qui da noi la percentuale è la peggiore di tutte, il 19%. Dietro questi numeri c’è tanto dolore che resta non affrontato e che sembra non interessare affatto a chi governa, perché negli anni non ha migliorato le performance (vedere allegato).
Un modello non condiviso con i territori. Il documento non ha subito modifiche, né può essere modificabile, è nato con poca attenzione a chi vive i territori e rappresenta le istituzioni, specie per i centri dove ci sono gli ospedali. Non c’è riscontro sulle interlocuzioni prioritarie con le voci più rappresentative e portatrici di interessi. Tutti quelli che sono stati auditi in fase di Commissione, dalle parti sociali, ai sindaci, alle associazioni, non sono stati ascoltati, perché nessuno ha avuto parole di condivisione nei confronti della reingegnerizzazione della rete ospedaliera. Così il documento si presenta come chiuso: tutti gli emendamenti sono stati rimandati al mittente, tutte le osservazioni sono state declinate.
DEA o non DEA. La Regione sceglie la funzionalizzazione dei 4 ospedali ma non individua il Dea di II livello richiesto dalla legge, il DM 70. Ma la norma deve essere rispettata e richiede che si scelga almeno un DEA di II livello. Invece il centrodestra non solo non lo fa, ma rimanda di tre anni la scelta, dichiarando nell’ordine del giorno che accompagna il documento che questa rete non risponde al DM 70! Tant’è che nel testo (vedi allegato) c’è la richiesta al Presidente di impegnarsi a chiedere al Governo di modificare il DM 70, ammettendo tale lacuna.
Una rete senza futuro. Il verbale dei Ministeri non risolve il problema della rete ospedaliera perché questa non risponde a nessuna delle domande poste. Il Ministero chiede di garantire le tappe dei Dea di II livello, di accelerare la tempistica per accedere alle risorse dell’articolo 20, giunto ora a 700 milioni di fondi disponibili ma che sono rimasti congelati per scelta perché non si è voluto approvare nulla. La rete dovrà trovare soluzione a problemi irrisolti come il percorso nascite a Sulmona, l’Emodinamica di Vasto. E poi c’è un passivo ormai strutturale che da -72 milioni è arrivato a -170 nel 2022 e peggiora, tanto che la Corte dei Conti rileva che c’è un livello strutturale di costi non compatibili con la sostenibilità del sistema regionale, che pur registra un aumento dei finanziamenti.