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Le Brigate Gerontocide, un giallo provocatorio a firma di Maurizio Vicoli

 

Un racconto dedicato ad un’intera generazione che deve fare i conti con l’egoismo, i capricci e il decadimento di genitori finanche ultra-centenari. Un romanzo provocatorio per spingere  tutti ad una seria riflessione.

Prof. Vicoli ho letto il suo romanzo tutto d’un fiato grazie alla scorrevolezza della narrazione e agli interessanti argomenti trattati, tra cui ovviamente spicca quello della vecchiaia, un argomento tabu di cui si preferisce non parlare: i giovani e le persone mature per una sorta di “divertissement”, di fuga dal problema, per dirla con Pascal, gli anziani forse non ne parlano perché non vogliono essere considerati tali. Lei spera che questo romanzo possa abbattere questa sorta di timore generalizzato? 

Ti ringrazio per la domanda, permettimi di darti del tu visto che sei stata una mia alunna. E’ vero, come ci sono sempre state  remore a parlare del cancro, fino a non doverlo nemmeno nominare e sostituendolo con la perifrasi “brutto male”, allo stesso modo le parole vecchiaia e vecchio spaventano,  seppur addolcite dal sinonimo “anziano”. Addirittura molti considerano questi termini parolacce offensive. Io invece, forse per la mia formazione illuministica e razionalistica, cerco sempre nei miei romanzi di affrontare i problemi sociali rinunciando ad ogni politicamente corretto. 

A proposito di razionalità, le Brigate gerontocide  seppur nella loro crudezza e spietatezza, sembrano dare motivazioni razionali alla loro battaglia: i 350 miliardi di euro che lo Stato italiano spende ogni anno per gli anziani potrebbero essere destinati alle politiche giovanili, al dramma della denatalità e alla transizione ecologica piuttosto che a vite giunte ormai al capolinea o entrate in una fase di non –vita, , si pensi per esempio agli innumerevoli anziani allettati. Le Brigate, infatti, si chiedono perché dover investire ingenti e preziose risorse su persone che non possono più dare un concreto contributo alla società, tanto da essere paragonate a veri e propri parassiti.  

Dici bene, sembrano dare motivazioni razionali. Sembrano. Nel dialogo tra l’ispettore protagonista del romanzo e suo nonno novantaduenne si mette in evidenza che difendere oggi i diritti delle minoranze, significa difendere quelli di tutti domani. Hitler riuscì a conquistarsi il consenso elettorale perché inizialmente egli individuò solo negli ebrei e nei comunisti i nemici dello Stato e, a latere, zingari, slavi e immigrati. Così molta gente diede a lui il proprio voto  non sentendosi affatto minacciata dal programma politico nazista perché essi non erano né di stirpe ebraica, né di fede comunista e neanche zingari. Ma, una volta che Hitler prese il potere, nei campi di concentramento furono internati anche tedeschi disabili, tedeschi omosessuali, tedeschi che si opponevano al regime hitleriano e giornalisti tedeschi non allineati, per non parlare della feroce censura sulla cultura. Nel nostro caso le Brigate, dopo gli anziani, potrebbero prendersela con i disabili e arrivare persino ai disoccupati cronici passando per i barboni. Tutti uomini e donne che non contribuiscono, in senso capitalistico, al progresso sociale. 

Restiamo sull’argomento. Nel quarto capitolo del libro si riportano dati riguardo l’età media in differenti paesi, tra cui spicca quello del Niger in cui l’età media risulta essere di 15,2 anni, contro i 48 degli italiani! Cosa impedirebbe alle brigate gerentocide, in un futuro ipotetico e puramente distopico, di adoperarsi in altre stragi per abbattere ulteriormente l’età anagrafica italiana magari trasformando la loro stessa causa in una battaglia fratricida, persino interna all’organizzazione, tra trentenni e quarantenni? 

Certo, tutto è relativo. Ma il programma politico delle brigate mette in evidenza che con i 350 miliardi di euro che lo Stato italiano destina ogni anno agli anziani, tra pensioni, medicinali, assistenza medica, vaccini, ricoveri ospedalieri, ecc., si potrebbero incoraggiare per davvero le cicogne a tornare volare, dando 35.000 euro  per ogni figlio nato a cominciare dal secondogenito e fino al quarto. 

Torniamo alle categorie di “giovane” e “anziano”. Di fronte al gigantesco progresso compiuto dalla Medicina, quanto oggi c’è di vero e oggettivo nelle due categorie? 

Già, i progressi della Medicina, contro cui si scagliano i brigatisti che vedono proprio nel progresso la  causa di questo innaturale allungamento della vita. Ad ogni modo io non credo alla massima secondo cui si è giovani dentro, perché ci sono giovani nati vecchi e vecchi che non si arrendono al tempo che passa fino a diventare patetici. E’ vero che il notevole miglioramento delle condizioni di vita ha aumentato l’efficienza fisica e cerebrale delle persone. Basti pensare a quella che era la “Rupe dei padri”, di cui si parla nel mio romanzo. Prima dell’avvento del cristianesimo, proprio a Castelmezzano, il bellissimo borgo lucano in cui è ambientato il mio romanzo,  i figli primogeniti accompagnavano, una volta raggiunti i sessant’anni,  i propri padri a morire.  A quell’età gli acciacchi e le sofferenze patite avevano trasformato gli uomini da lavoratori in parassiti. Toccava dunque al primogenito trasportare a spalle il proprio genitore  fino alla rupe e da lì gettarlo nel crepaccio. I sessantenni di oggi sono ancora nel pieno della loro efficienza mentale. Detto questo, ritengo che, pur nella relatività del concetto di giovane e anziano, si è davvero vecchi quando agli ideali e alla filantropia si sostituisce un disincanto generalizzato derivato dalla conoscenza della realtà e una conseguente rassegnazione ad accettare il mondo per quello che è, senza più combattere per quello che dovrebbe essere. In questo senso possono considerarsi vecchi anche quei giovani che rinunciano alla lotta. 

Il romanzo spinge a riflettere anche su altri problemi. Mi è rimasto in mente quello della “Terza mano” attraverso cui si mette in luce come il senso estetico, che sempre più condiziona i nostri giudizi, finisca per bloccare l’evoluzione biologica della specie umana. 

Mi fa piacere che questo passo ti abbia spinto ad una riflessione. Sì, durante la discussione tra nonno e nipote, che sono appunto i due protagonisti del romanzo, Melis il vecchio evidenzia che in molte situazioni quotidiane ci farebbe comodo avere una terza mano: per esempio quando si guida o si portano due bustoni di spesa e si deve rispondere al telefonino. Invece nessuno mai si accoppierebbe con una persona così “mostruosa” e questa modificazione genetica, seppur vantaggiosa, non sarebbe mai trasmessa all’interno della specie. In altre parole, ogni modificazione fisica è destinata a non perpetuarsi, come è sempre accaduto anche nel passato e di questo il Cottolengo di Torino è una tragica testimonianza. Con ciò voglio dire che ci stiamo allontanando troppo da ogni “naturalità”. Non è possibile che ultra-ottantenni debbano occuparsi di genitori ultra-centenari, non ci sono le forze fisiche e mentali per farlo; non è possibile e sostenibile che in una società ci siano più pensionati che lavoratori attivi e dunque per riequilibrare le cose insegnanti di scuola materna, muratori, chirurghi o trasportatori debbano svolgere lavori logoranti e usuranti fino a 70 anni e forse più; non è possibile che nascano movimenti “Childfree”, cioé che non vogliono figli, quando pochi bambini significa, tra le tante cose, crollo dell’intera economia. Si badi, anch’io come Leopardi credo che la Natura sia “madre di parto e di voler matrigna”, ma come lo stesso recanatese riconosceva, sulla scia di Boccaccio e Spinoza, alla fine la Natura vince sempre, come appunto insegnano da sette secoli le novelle del Decameron dove si racconta, per esempio, che nei conventi frati e suore non potevano sottrarsi fino in fondo al soddisfacimento dell’istinto sessuale. Temo dunque che andando troppo contro-natura, ci stiamo ritrovando la natura contro.  

Senza spoilerare il romanzo, mi sembra che il finale resti aperto. E’ previsto un seguito del  libro? 

Al momento non è previsto. Ho scelto l’antico finale di stampo aporetico perché non voglio dare soluzioni, ma solo provocare in tutti, ecco perché l’ho definito un romanzo provocatorio, un’attenta riflessione, in particolare nei politici e negli uomini di Chiesa, affinché si apra una onesta discussione sull’eutanasia. La Chiesa ha sempre dato prova di sapersi adeguare ai tempi, capacità che finora le ha garantito duemila anni di vita. Non solo. Il libro chiama anche tutti  noi a  meditare seriamente sul dramma della Quarta età, cioè  di quella fase dell’esistenza che statisticamente comincia con gli ottant’anni quando il decadimento fisico e cognitivo subisce una progressiva accelerazione verso cui l’unica soluzione, per la dignità dell’anziano e dei loro figli, è la morte. 

Un’ultima domanda. Nel romanzo traspare anche l’eterno conflitto tra generazioni. Potrebbe dare, da docente, qualche consiglio o lanciare un messaggio alle giovani generazioni ed anche a quella che lei ha chiamato Wellbeing generation (WB) ,  che comprende i nati tra il 1948 ed il 1973? Una generazione per cui le brigate gerontocide combattono affinché possano affrancarsi dalle vessazioni dei loro ultra-ottuagenari genitori. 

Come docente ho il dovere di educare i giovani, anche dispensando consigli; come scrittore però, e adesso a parlare è lo scrittore, vorrei parafrase una massima di Bobbio e dire che preferisco seminare dubbi piuttosto che inoculare certezze. 

Dati bibliografici: 

Autore:  Maurizio Vicoli 

Titolo:  Le brigate gerentocide: la prima indagine dell’ispettore Melis 

Casa editrice:  Il Torcoliere 

Prezzo promozionale:  € 10,00

Laura Del Casale

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