L’ACM ha programmato per il giorno 17 novembre 2024 alle ore 16.00 presso la sala pinacoteca di Palazzo d’Avalos della Città del Vasto, la presentazione del libro “lo sparatore sono io” scritto da Antonio Campanile, Nuccio Ferraro e Francesco Di Bartolomei.
Chi è Antonio Campanile
Antonio Campanile, arruolato in polizia nel 1972, aveva appena 20 anni ed era in servizio all’aeroporto di Fiumicino quel 17 dicembre 1973: il giorno della strage di Settembre Nero, con 34 morti e 15 feriti, il terzo più grave atto per numero di vittime della buia storia del terrorismo degli anni ’70.
E un giorno che ha cambiato per sempre la sua vita.
Antonio, infatti, è “lo sparatore”, il poliziotto che, disobbedendo agli ordini ricevuti, ha aperto il fuoco contro terroristi che avevano appena ucciso il finanziere Antonio Zara. “L’ho fatto per legittima difesa – dice – e se potessi tornare indietro avrei sparato prima. Se lo avessi fatto, forse quel povero ragazzo sarebbe ancora vivo”.
Non si dà pace oltre che di non aver potuto impedire quell’omicidio a sangue freddo, anche dell’oblio che è caduto su questo fatto criminale. “Nessuno mi ha ascoltato ci dice Campanile. Vivo nel mio silenzio e cerco di combattere, trovare qualcuno che cerchi di capire e di capirmi. Ho parlato dei dettagli della mia terribile esperienza persino con i miei figli solo da pochi anni”.
Dopo aver lasciato la polizia, con grande dignità si è rimboccato le maniche per trovare un altro lavoro: “forse ho trascurato la mia famiglia, sono stato poco presente, ma non avevo orari come in polizia e dovevo pensare a far crescere e dare un futuro ai miei tre figli”. Antonio crede nella forza della resilienza, “Io lo penso sempre, è la cosa per cui mi batto”.
Della sua vicenda ha parlato in un libro “Lo sparatore sono io”. “Non voglio essere considerato un eroe – ci tiene a precisare – non ho scritto per scopo di lucro, ma solo per far conoscere al popolo italiano quello che è successo”.
Gli chiediamo se dopo così tanti anni, è riuscito a perdonare.
“Che cosa vuoi perdonare?” conclude amaramente “Da cristiano dico ama il tuo nemico, porgi l’altra guancia. Ma nessuno sa dove siano questi terroristi, si sa solo che hanno ucciso. E cosa ha fatto l’Italia per rintracciarli? Ha preferito dimenticare. L’indifferenza mi fa rabbia, se nessuno ti ascolta”.
Ma cosa accadde quel giorno all’aeroporti di Fiumicino?
E’ il 17 Dicembre 1973,ci racconta Campanile, all’aeroporto intercontinentale di Roma-Fiumicino, quando un commandos di terroristi, appartenenti al gruppo d’ispirazione marxista e braccio armato ultraviolento dell’OLP di Arafat, fa una strage. Dopo l’attentato di Bologna, è la seconda strage della storia Repubblicana per numero di vittime: 32 morti e 15 feriti. Pochi la ricordano, sottolinea Campanile, pochissimi commemorano le vittime, una di queste è il giovane finanziere Antonio Zara, medaglia d’oro al Valor Militare nel 1974 ma Medaglia d’oro di vittima del terrorismo solo nel 2010.
Questa di Fiumicino, fa parte di quelle stragi che “possono” essere dimenticate perché l’Italia ne deve ricordare solo una parte e soprattutto, perché all’epoca aveva scelto un “approccio morbido” al terrorismo palestinese: niente contrasto in cambio di libero passaggio dei terroristi. Il Governo italiano, infatti, per motivi d’interesse economico e strategico, intratteneva speciali rapporti diplomatici con il mondo palestinese e stipula in quegli anni un lodo d’intelligence che garantisce il libero transito di armi e uomini dei gruppi palestinesi sul suolo italiano, purché non compiano attentati.
Contenuti del libro.
Questo libro scritto a più mani (A. Campanile, Nuccio Ferraro e Francesco Di Bartolomei) racconta della strage tramite i ricordi di Antonio Campanile che, accortosi del pericolo, si è sdraiato su un tetto e ha fatto quello che prevedeva la legge e la sua coscienza ma probabilmente non gli “ordini”. Come afferma lo stesso protagonista in un’intervista: “Lasciarli compiere un ulteriore massacro era inconcepibile, quelli si erano impadroniti dell’aeroporto e noi eravamo appostati sui tetti con le armi in mano a guardarli mentre sparavano all’impazzata, quando vidi assassinare a sangue freddo il finanziere Antonio Zara , che era pure un caro amico che incontravo tutti i giorni in servizio a Fiumicino, ho capito che quell’ordine di non sparare era assurdo e ho sparato stando bene attento a non colpire la fusoliera dell’aereo della Lufthansa; così ho fatto in modo che i terroristi decidessero di smetterla con quel Far West e si imbarcassero sul volo che poi hanno dirottato su Atene”. Invece di essere promosso, Antonio Campanile, giovane servitore dello Stato, è stato segregato in Caserma e messo nel dimenticatoio. Un altro appartenente alla Polizia di Stato (ora in pensione), la cui intervista è presente integralmente nel libro, afferma: “Antonio fu punito. La motivazione che girava a titolo di voce nei corridoi, era che aveva disubbidito agli ordini, sparando all’aereo”.
Punito e nascosto per interessi politico/ economici superiori, Antonio Campanile ha deciso di dire la sua verità: “Perché troppi altri nel tempo, in tutti questi lunghissimi 51 anni, si sono sentiti in dovere di parlare al posto mio senza sapere ciò di cui parlavano. C’è chi lo ha fatto testimoniando davanti a un noto magistrato e chi si è spacciato per me in televisione. Ma lo “sparatore” di quel giorno come dice il titolo del libro sono e rimango io”.
Quella che si legge in questo libro è una verità difficile, che si perde nelle carte ancora segretate e nei tanti omissis dei protagonisti dell’epoca, unite ad un ricordo che troppo spesso è di parte.
Il Prof. Emerito Francesco Sidoti (Università dell’Aquila) che ha curato la prefazione del libro scrive: “Dietro la semplice apparenza della rievocazione di un episodio lontano e ingiustamente dimenticato, questo volume è un fragoroso sparo nel buio della più stretta attualità. Infatti, insieme alla contestazione della disinformazione in merito alla strage di Fiumicino del 17 dicembre 1973, è in clamorosa contestazione con la politica estera italiana di ieri.
Pur essendo interessante e ben scritto, questo libro non ha trovato un editore abbastanza coraggioso da pubblicarlo. Antonio l’ha fatto a sue spese, già questo è un segnale preciso che ci dice che “Lo sparatore sono io” dovrebbe essere letto da chi veramente vuole capire il terrorismo internazionale e la politica italiana di quei tempi.