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Di recente, il professor Guido Brunetti è stato insignito dal Presidente della Repubblica dell’onorificenza di “Benemerito della Salute Pubblica”. Il conferimento di questo prestigioso riconoscimento rappresenta un’ottima occasione per analizzare con grande autorevolezza scientifica, umana ed etica i grandi temi della postmodernità, della salute e della sofferenza e il legame tra medico, infermiere e paziente.
“Sono temi complessi, delicati e difficili. Sono elementi universali dell’esistenza umana. Per comprenderli, occorrere inquadrarli- spiega Brunetti- in una visione che parta dall’attuale evoluzione stoica. Stiamo infatti attraversando un’epoca di notevoli trasformazioni sociali, cultuali, epistemologiche e morali, determinando una radicale mutazione di pensiero e coinvolgendo tutte le condizioni della nostra esistenza”.
Sono cambiamenti, che hanno generato tra l’altro- prosegue il nostro umanista-scienziato- “il postmodernismo, il quale sottolinea la decadenza delle ideologie, e mette in evidenza l’impotenza dell’uomo rispetto agli stravolgimenti profondi di una società attraversata da precarietà e assenza di progetti solidi e sicuri, con drammatiche ricadute sulla nostra vita. Vanno in crisi poi la filosofia metafisica e le certezze che da sempre hanno accompagnato la civiltà occidentale”.
Oggi, il mondo, ha scritto il filosofo Byung-Chul Han, si sta “brutalizzando ed è dominato dall’angoscia, e dal principio del piacere, fatto che alimenta egoismo, odio e violenza. E’ tutta la condizione tardo moderna, definita da Bauman una “modernità liquida”, amorfa, schiumosa a generare questi malesseri, secondo una concezione che parte da Husserl e continua con Heidegger”.
Chiediamo: questa condizione certamente influisce sui temi della salute e della sofferenza. “La salute e la malattia –chiarisce Brunetti- fanno parte della condizione umana e rientrano in particolare nel complesso mondo della medicina.
La sofferenza nasce con l’uomo, è una condizione originaria, biologica e naturale della vita. E’ difficile stabilire un confine netto tra salute e malattia.
La salute viene considerata assenza di malattia e la malattia come assenza di salute. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità per salute s’intende “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”.
Sembra di capire che la salute è un bene. “Un bene che tuttavia si sta sgretolando a causa di un progressivo indebolimento e della deriva del sistema sanitario. Una delle più prestigiose riviste di medicina al mondo, “Lancet”, ha parlato ultimamente di “disfacimento” del servizio sanitario italiano”. Questa severa e autorevole diagnosi comporta l’esigenza di analizzare il senso profondo del termine curare.
“Il termine cura osserva Brunetti nasce dalla radice latina ‘cor urat’ (scaldare il cuore) e quella sancrita ‘kau’, che significa stare accanto. Di qui, la parola greca ‘kline’, che indica il letto del paziente su cui chinarsi sia in senso fisico che metaforico. Stiamo avanzando una concezione già sostenuta dalla letteratura scientifica mondiale. Non c’è cura del corpo e della mente senza tecnica, ma non c’è cura anche se manca la dimensione emozionale, umana ed etica, ossia empatia gentilezza garbo rispetto calore umano accudimento un gesto, un sorriso. Insomma, la medicina per statuto metafisico è prioritariamente un evento antropologico.
Se così non fosse l’attività del medico ne perderebbe”.
Nel tempo, le concezioni mediche hanno subito un’evoluzione? “Nell’antichità, afferma Brunetti, emerge una concezione magico-religiosa della malattia, che viene intesa come punizione divina e trasgressione verso le norme religiose e morali. E’ con Ippocrate (460 a. C.) che salute e malattia si staccano da una visione metafisica e vengono descritte come un evento dovuto a cause naturali. Arriviamo infine alla rivoluzione terapeutica dei farmaci e dei metodi diagnostici del Novecento. Che tuttavia ha un prezzo molto alto. C’è la tendenza alla “spersonalizzazione” e alla “disumanizzazione” del rapporto medico-paziente. Una barriera calata tra medico e paziente. Un cambiamento traumatico, una svolta antropologica di una professione che rinuncia alla propria vocazione umanologica.
Umanità addio”.
”La medicina moderna ha acquistato in tecnologia quel che ha perduto in umanità.
Affiora spesso l’incapacità di medici e soprattutto e infermieri a “sintonizzarsi” con il paziente. Non sempre essi hanno antenne sia per decifrare il senso oscuro della sofferenza e della malattia sia per evitare parole ambigue, indifferenti, vacue, glaciali Ci sono medici e infermieri che non hanno la percezione di come certi comportamenti, parole, gesti e forme di comunicazione possano ferire e umiliare. Ci sono parole che danno speranza, conforto e serenità, e ci sono parole e gesti che feriscono, mortificano e lacerano la persona malata e i suoi familiari.
Gli sviluppi tecnici della medicina tendono quindi a “ridurre” il paziente a un corpo passivo, a malattia, a un meccanismo rotto, a un guasto biologico, privo di soggettività. Si verifica la totale subordinazione del malato a un sistema fondato su strumenti tecnici e burocratici
La persona scompare”.
Quale figura di medico appare in questa situazione? “Negli ultimi anni- dice Brunetti- la meritoria figura del “mio medico”, come si diceva un tempo, “è entrata- ha scritto Giorgio Cosmacini medico e autorevole storico della medicina- via via in dissolvenza, consumata, svuotata. Oggi il dottore non c’è più, né ci sono più la sua bonomia, affabilità, disponibilità e gentilezza. E’ urgente allora recuperare i valori che quella figura era depositaria, superando quel processo di disumanizzazione della medicina sottolineato per primo dal grande clinico Frugoni. Oggi, il medico appare frustrato, stressato e quindi algido, aggressivo, insofferente. Emerge una figura di medico dimezzata, ‘un burocrate, un somatologo. Il paziente dunque diventa un meccanismo rotto, un guasto biologico e il medico un ‘meccanico’ (Salvalaggio).
Il primo farmaco, la prima forma di cura, cura del corpo e cura della mente, è il rapporto empatico medico- paziente. Questo rapporto è sinonimo di cura. Perché migliora la salute e si guarisce prima come dimostra la letteratura scientifica mondiale”.
Malumori crescenti vengono registrati anche verso la figura dell’infermiere. “Secondo vari studiosi, l’immagine che la figura delle infermiere (i maschi sono in netta minoranza) è quella di una casta. Stessi atteggiamenti. Nell’immaginario appare una figura spesso algida: freddezza e distacco. Scarso coinvolgimento emotivo e poco calore umano e mancanza di empatia. Né si mettono in mostra per le doti comunicatrici. Eppure, le neuroscienze hanno dimostrato che queste qualità sono caratteristiche proprie del cervello femminile. Il linguaggio gestuale e il tono della voce poi tradiscono spesso insicurezza, frustrazione, ansia e insofferenza. Il mantra di molte infermiere è “Ora sono impegnata”, oppure “Sì,sì”, ma è un sì destinato a rimanere nell’aria. Perspicace infine l’osservazione di un mio amico docente universitario: “Le visite sono terminate”, “E’ ora di uscire”. Parole dette da tante infermiere con “indicibile piacere”. Sta di fatto che l’esperienza dell’ospedale, secondo alcune indagini, è una esperienza traumatica, che genera stress a volte insostenibile. Una condizione lacerante. Più grazia, tanta gentilezza e garbo e rispetto e disponibilità. Sono le basi del progresso della civiltà e dell’educazione”.
Queste riflessioni ci conducono subito a chiedere al professor Brunetti di analizzare il fenomeno dell’esaurimento psico-fisico dei medici. “E’ ormai allarme esaurimento nervoso dei medici. E’ la sindrome di bornout, l’esito patologico di un processo stressogeno. Una vera e propria emergenza. Secondo una ricerca statunitense, questa sindrome ha prodotto “risultati devastanti”. Essa infatti genera stress, ansia, depressione, disturbi del sonno, irritabilità, abusi dell’alcol, uso di sostanze, riduzione della qualità delle cure, aumento degli errori, disturbi nell’interazione con pazienti e colleghi, sino a pervenire a episodi di suicidio. E’alto poi il rischio di infarto del miocardio e di altri eventi. Secondo uno studio medico internazionale il 30-40 per cento dei medici soffre dalla sindrome di bornout. Si determina una condizione che coinvolge l’intera struttura sanitaria con un impatto negativo sulla salute dei pazienti. Appare quindi urgente salvaguardare la loro salute fisica e mentale, anche alla luce di crescenti episodi di aggressioni e violenza”.
“Negli ultimi anni- commenta Brunetti- le aggressioni sono aumentate del 38 per cento, con circa 18000 episodi registrati. Un dato allarmante. Il 2025 è partito con una serie preoccupante di attacchi al personale sanitario. E’ un fenomeno che riguarda non solo l’Italia, ma riflette un trend in crescita a livello internazionale”.
Che cosa fare dunque? “Anzitutto superare il processo di disumanizzazione della medicina. Molte ricerche hanno indicato che corsi di empatia e di educazione alla comunicazione per medici e infermieri e nuove modalità di relazione sono in grado di migliorare le cure, il rapporto medico-paziente e l’ansia di prestazione. Insomma, il paziente non più oggetto, ma soggetto di un progetto di cura dai connotati altamente umani, relazionali e morali.
Concludiamo, sottolineando e ribadendo con forza l’urgenza di realizzare e garantire un modello di terapia e di assistenza centrato sulla “dignitas curae” e sulla “ri-umanizzazione della medicina, operando un cambio di paradigma”. La salute insomma si fonda su cure appropriate, sull’empatia dei medici e la grazia, la gentilezza e la convinta disponibilità delle infermiere e di tutto il personale sanitario. Senza mai dimenticare di mettere un pò di amore nella propria attività di medico e infermiere, perché solo l’amore può dare un senso autentico alla nostra esistenza”.
Martina Gabriele