lunedì, Marzo 17

La Dda chiude le indagini: le mani della ‘ndrina nel Vastese

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L’ombra della ‘ndrina torna minacciosa sul Vastese. La Dda calabrese ha chiuso ieri le indagini sulle ” Preserre vibonesi” .

A scriverlo, stamane, sulla pagina di Vasto del quotidiano dell’Abruzzo Il Centro, è la collega Paola Calvano.

Fra i 26 personaggi indagati e che presto saranno interrogati dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Catanzaro c’è anche R.P.,63 anni di San Salvo, già noto alle cronache giudiziarie per altre inquietanti inchieste.

L’uomo, difeso dall’avvocato Giuseppe la Rana del foro di Vasto,  ha ricevuto ieri l’avviso di conclusione delle indagini e l’invito a presentarsi in Calabria per sostenere un interrogatorio.

La posizione del suo cliente è delicatissima ed è riportata in un voluminoso dossier. Il sessantatrenne sansalvese, secondo la magistratura calabrese “…. pur non essendo inserito stabilmente nel sodalizio criminale , nella sua articolazione della ‘ndrina calabrese, forniva un concreto e consapevole contributo ad un componente del clan , quale punto di riferimento, per il gruppo, nel circuito criminale abruzzese, con particolare riguardo ai territori di Vasto e di Pescara”.

A parere della Dda, R.P si sarebbe messo a disposizione del sodalizio per soddisfare ogni tipo di richiesta, nonché per il compimento di azioni illegali. Inquietante il passaggio in cui la magistratura accusa il 63enne di aver procurato e offerto in vendita armi, giubbotti antiproiettile e persino segni distintivi delle forze dell’ordine, adoperandosi per il recupero dei crediti vantati dal clan ed intervenendo in favore del sodalizio nel procacciamento di clienti per i prodotti rientranti dei settori merceologici da questi controllati, anche attraverso la condivisione della propria rete di relazioni. In questo modo avrebbe , consentito alla criminalità organizzata vibonese di infiltrarsi nel tessuto economico abruzzese, ottenendo, in cambio, protezione ed accreditamento all’interno dell’associazione di stampo mafioso.

Nel fascicolo si parla di traffico di armi ed all’approvvigionamento di sostanza stupefacente da destinare alla vendita in Abruzzo ottenendo favorevoli sinergie imprenditoriali derivanti dall’indotto “mafioso”. Grazie al suo modus operandi R.P avrebbe ricevuto in cambio occasioni di lavoro da parte degli associati del clan, agevolando l’infiltrazione nel vastese, in provincia di Chieti e di Pescara di svariate attività imprenditoriali. I fatti contestati risalirebbero a qualche anno fa , ma gli investigatori hanno dovuto lavorare a lungo per ricostruire l’intero quadro accusatorio e delineare le responsabilità dei 26 indagati.

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